Vita eroica del Card. Van Thuân

21.10.2016 21:32

04-10-2010 - di Omar Ebrahime

 

Una vita eroica

François Xavier Nguyen Van Thuân (il nome Thuân letteralmente significa “che è in armonia  con la volontà (di Dio)” nasce il 17 aprile 1928 nella cittadina di Hue da una famiglia di ‘mandarini’, ovvero alti dignitari dell'impero vietnamita, di salde radici cattoliche e patriottiche, con una folta schiera di martiri e confessori della Fede alle spalle. Si pensi solo che nel 1885 tutti gli abitanti del villaggio di sua madre erano stati bruciati vivi all'interno della chiesa parrocchiale in quanto seguaci di Cristo, eccetto suo nonno che a quel tempo studiava in Malesia. E, prima ancora, tra il 1698 al 1885, la storia di famiglia registra diversi atti di persecuzione religiosa verso i suoi antenati paterni. Il suo bisnonno paterno, in particolare, insieme con gli altri familiari, era stato forzatamente assegnato a una famiglia non cristiana di proposito, in modo che perdesse la fede. Egli stesso era solito raccontare questa vicenda al giovane François Xavier quando questi era piccolo. Narrava il bisnonno che, ogni giorno, all'età di 15 anni, faceva a piedi oltre 30 chilometri per portare a suo padre, che era recluso in prigione solo perché cristiano praticante, un po’ di riso e di sale.

Filmato  :   Fondazione San Matteo  e Premio Van Thuân

Sua nonna invece, ogni sera, dopo le preghiere della famiglia, era solita recitare con trasporto il rosario per i sacerdoti, per le loro vocazioni e per la loro santità. Non sapeva né leggere né scrivere ma aveva una fede incrollabile. Da lei il giovane François apprenderà a vedere le vicende umane secondo lo sguardo misericordioso di Dio, leggendo anche gli eventi più misteriosi (e apparentemente contraddittori del suo tempo) alla luce della provvidenza divina.

Ma la figura fondamentale per la sua prima educazione cristiana e per l'iniziazione ai sacramenti è la madre Hiep. Ogni sera prima di andare a letto gli insegna le storie della Bibbia e si sofferma sulle testimonianze dei martiri, specialmente dei suoi antenati. Il piccolo François familiarizza così subito con il martirio: ai suoi occhi gli appare non come un fatto leggendario o come un mito d’altri tempi che si perde nei meandri della memoria ma qualcosa di profondamente reale ed è orgoglioso di aver avuto una famiglia con tanti testimoni della fede, usque ad efusionem sanguinis. La madre, poi, gli parla tanto anche di santa Teresina di Gesù Bambino (1873-1997) che resterà, con il martire messicano Miguel Pro (1891-1927), il suo patrono (e grande apostolo dell'Asia) Francesco Saverio (1506-1552) e il Curato d'Ars (1786-1859), una delle figure più amate dal futuro sacerdote. Soprattutto, la madre gli insegna a pregare. Così a 3 anni possiede già familiarità con le prime preghiere e a soli 8 anni il piccolo manifesta una viva devozione per la Madonna[1], che in seguito lo sorreggerà nei momenti più bui della vita. Nell’agosto 1941, all'età di 13 anni, interiormente già certo di una vocazione precocissima, entra nel seminario minore di An Ninh. I suoi insegnanti sono missionari francesi e sacerdoti vietnamiti da cui trae luminosi esempi di bontà, di pietà e di santità. Lui risponde con entusiasmo e arriva in breve tempo ad essere uno studente modello in grado di parlare fluidamente sei lingue: cinese, inglese, latino, francese, italiano e spagnolo.   

L'11 giugno 1953, a 25 anni, dopo altri anni trascorsi al seminario maggiore di Phu Xuan a Hue per formarsi, viene ordinato sacerdote. Dopo appena tre mesi di servizio in una parrocchia però, gli viene diagnosticata una tubercolosi in uno stadio avanzato, che rende necessaria l'asportazione di gran parte del polmone destro. La diagnosi è grave e l'intervento si preannuncia delicato. Poco prima dell’intervento i chirurghi dell’ospedale militare francese di Saigon, dove viene ricoverato, fanno effettuare un’ultima radiografia del suo torace. Con grande sorpresa constatano tuttavia che il polmone destro è improvvisamente e completamente guarito, senza recare alcuna traccia di malattia, in modo inspiegabile per la scienza. Per il giovane sacerdote è veramente un miracolo e una prima testimonianza della sollecitudine del Signore per la sua vocazione.

Viene quindi inviato a Roma dove consegue il dottorato in diritto canonico alla Pontificia Università Urbaniana. Al termine degli studi rientra in patria e inizia a lavorare come docente presso il seminario minore a Hue, di cui nel 1960 viene eletto Rettore.

Il 1 novembre 1963 il Vietnam del Sud è vittima di un colpo di Stato. Il presidente Diem (zio di Van Thuân e da questi molto stimato come grande figura, uomo di profonda saggezza e notevole cultura) viene rovesciato dai suoi stessi generali. Diem e altri due zii di Van Thuân che si erano spesi a lungo per il bene del Paese e la libertà del Vietnam vengono assassinati con un colpo di pistola alla nuca. Il cuore del giovane sacerdote non può trattenere il risentimento e anche la rabbia per quelle morti ingiuste. Comprende allora di essere appena all'inizio del cammino spirituale, occorrerà ancora molto tempo perché riesca a perdonare completamente gli assassini dei suoi cari[2].

Nel giugno 1967, a sorpresa, viene nominato vescovo di Nha Trang[3]. Il suo impegno qui è molto intenso: consapevole della minaccia comunista che si profila all’orizzonte prepara il maggior numero di giovani al sacerdozio, quasi prevedendo la fine della libertà della Chiesa di lì a poco (come era già accaduto per il Vietnam del Nord e come in effetti puntualmente avverrà). In soli otto anni gli iscritti al seminario maggiore passano da 42 a 147, nel seminario minore da quasi 200 a più di 500. Ma si dedica anche all'educazione e alla formazione integrale dei laici (compito in cui crede molto), alla pastorale giovanile, a rafforzare e diffondere i Consigli parrocchiali presenti nella Diocesi.  

Nel 1971 è nominato Consultore di quello che nel 1976 diventa l’attuale Pontificio Consiglio per i laici. In tale funzione si reca più volte a Roma, dove conosce un altro componente di quell’organismo, l’arcivescovo-metropolita di Cracovia, Karol Wojtyla, che in futuro avrà un ruolo importante nella sua vita (da Pontefice lo chiamerà tra l’altro alla Presidenza di un Pontificio Consiglio, gli affiderà la predicazione quaresimale degli Esercizi spirituali della Curia romana e al Papa, lo nominerà infine Cardinale)[4]. Il Pontificio Consiglio Cor Unum (il dicastero della Curia Romana che organizza e coordina le azioni umanitarie e caritative della Santa Sede in caso di crisi o emergenze internazionali), creato anch’esso nel 1971 da Paolo VI, s’impegna invece in questi anni nel Vietnam del Sud cercando di sostenere l’azione del COREV, un organismo locale creato con l’obiettivo di supportare la ricostruzione del Paese (l’acronimo sta per Cooperazione per la ricostruzione del Vietnam). Il vescovo Van Thuân viene nominato vice presidente effettivo del COREV. Si trova allora a dirigere un'opera immensa: aiutare gli oltre 4 milioni di persone sfollate a causa di 28 anni di guerra in Vietnam. Per due anni lavora ogni giorno (più di quattordici ore al giorno!) fin sull’orlo dell’esaurimento per reinsediare gli sfollati, nutrire gli affamati, alloggiare i profughi, acquistare le sementi e gli attrezzi agricoli a loro necessari per rifarsi una vita. Dimostra in quest’occasione grandi capacità: i villaggi finanziati dalla COREV a cui dà vita saranno un vero e proprio ‘successo umanitario’ secondo il giudizio dei principali osservatori internazionali presenti sul posto.

Il 30 aprile 1975, però, come egli stesso temeva da tempo, le truppe comuniste del Nord (i cosiddetti ‘Vietcong’) conquistano la capitale Saigon, che diventerà da ora in poi Ho-Chi- Minh, per Van Thuân è l'inizio del periodo più drammatico della sua vita. E' stato da poco nominato arcivescovo di Vadesi e coadiutore di Saigon da Papa Paolo VI (24 aprile) quando il 15 agosto viene convocato nel palazzo presidenziale e subito arrestato e incarcerato con l'accusa di essere un infiltrato di un governo straniero e nemico della rivoluzione comunista (“agente in un complotto tra il Vaticano e gli imperialisti” [gli Stati Uniti]), in realtà perché nipote dell’ex presidente del Vietnam del Sud Ngo Dinh Diem e figura ecclesiastica di crescente influsso sociale. Il suo motto episcopale è “Gaudium et spes” (Gioia e speranza). Il suo programma pastorale, conformemente alle indicazioni della nota Costituzione pastorale del Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965) di cui studia a lungo i documenti è quindi “La Chiesa nel mondo contemporaneo”. Resterà in carcere per 13 anni (fino al 1988), di cui nove in completo isolamento, senza mai essere processato. 

Costretto agli arresti domiciliari nella casa parrocchiale di Cay Vong, all'interno della sua vecchia diocesi di Nha-Trang, nel mese di ottobre dello stesso anno inizia a scrivere una serie di messaggi alla comunità cristiana di cui continua a sentirsi pastore, guida e primo responsabile, sperando in cuor suo che possano giungere a destinazione. Grazie a Quang, un bambino di 7 anni, che gli procura di nascosto dei fogli di carta sui cui scrivere i suoi pensieri, il progetto potrà realizzarsi. Lo stesso bambino, di nascosto delle autorità, s'incarica infatti di portare i messaggi a casa in modo che i suoi fratelli e sorelle possano ricopiare quei testi e diffonderli a loro volta. Da qui nasce il suo primo libro intitolato: Il cammino della speranza[5]. Lo stesso accadrà più tardi, nel 1980, quando nella residenza obbligatoria di Giangxà, situata nel Vietnam del Nord, scriverà, sempre di notte e in segreto, il suo secondo libro: Il cammino della speranza alla luce della Parola di Dio e del Concilio Vaticano II  e quindi il terzo: I pellegrini del cammino della speranza.

Il 19 marzo 1976 viene trasferito al campo di prigionia di Phu Khanh e rinchiuso in una cella angusta senza finestre. Inizia l'incubo peggiore: nessuno può avvicinarsi a lui e nessuno parla con lui, neanche le guardie. Ben presto l’isolamento totale produce l’effetto desiderato dagli aguzzini: privato di qualunque segno di presenza umana, Van Thuân comincia ad avere terrore del vuoto e del silenzio attorno a lui. I carcerieri usano anche l’oscurità per tormentarlo. Senza ragione, la fioca lampadina della cella viene spenta per giorni di seguito e il povero prigioniero non sa quando sia giorno o notte. Passa così periodi interminabili: a volte gli sembra di non esistere più nel mondo dei viventi. Giunge infine l’estate e la cella, infuocata come una fornace, comincia a emanare odori insopportabili a causa della vicina latrina. Van Thuân si stende allora sul pavimento sudicio e pone il volto vicino allo spazio vuoto sotto la porta per cercare di respirare un po’ d’aria mossa, ma riesce solo a sentire  l’orribile fetore …. In uno stato di profonda prostrazione, alcuni giorni non riesce a ricordare neppure il Pater Noster o l’Ave Maria, gli sembra di impazzire. L’unico sollievo, ironia della sorte, è quando vengono a prelevarlo per gli interrogatori. Il fatto di vedere delle altre persone, di poter parlare, lo conforta.

Da Saigon viene poi trasferito in catene a Nha Trang, quindi al campo di rieducazione di Vinh-Quang, sulle montagne. Passa momenti durissimi, come un viaggio su una nave con 1500 prigionieri affamati e disperati.

Poi il lungo isolamento, durato nove anni. Ci sono due guardie soltanto per lui e ne seguono ogni movimento. In carcere non può portare con sé la Bibbia. Allora pensa di raccogliere tutti i pezzetti di carta che trova e riesce a comporre un minuscolo libro sul quale trascrive più di 300 frasi del Vangelo che ricorda a memoria. Per tutti questi lunghi anni l’unico suo sostentamento è la Santa Messa[6]: la celebrerà ogni giorno servendosi del palmo della mano a far da calice, con tre gocce di vino e una goccia d’acqua[7]. Il vino era riuscito ad averlo, è il caso di dire ‘provvidenzialmente’, in modo incredibile. Appena arrestato, gli avevano permesso di scrivere una lettera per chiedere ai suoi parenti più stretti le cose necessarie. Domandò allora un po’ di medicina per digerire. I famigliari compresero il significato vero della richiesta e gli mandarono una bottiglietta con il vino della Messa e l’etichetta: “medicina contro il mal di stomaco”. Le briciole di pane consacrato le conserverà in pacchetti di sigarette che gli altri prigionieri cattolici riusciranno poi a portare nelle loro celle in modo che tutti potessero avere Gesù Eucarestia in mezzo a loro …. La notte, quando possibile, riesce così addirittura ad organizzare dei veri e propri turni di adorazione davanti all'Eucarestia[8].

Si trova sempre in isolamento ad Hanoi quando un ufficiale della polizia gli porta un piccolo pesce che lui avrebbe dovuto cucinare. Il pesce era avvolto in due pagine dell'Osservatore Romano, che la polizia usava requisire quando arrivava per posta. Non credendo ai suoi occhi (la vendita e la diffusione del giornale della Santa Sede erano appunto vietati in Vietnam), senza farsi notare, Van Thuân lava bene quei due fogli e li fa asciugare al sole, conservandoli quasi come una reliquia. Nell’isolamento della prigione, quelle due pagine diventano per lui un segno di unione con Roma, la cattedra di Pietro e il suo Magistero, che tanto ama. La speranza e la forza che riesce a trasmettere, nonostante tutto, agli altri prigionieri nei rari posti in cui non è in isolamento fa sì che lo spostino continuamente. Una volta si ritrova in carcere con un colonnello comunista che deve scontare una piccola pena e che in realtà ha il compito di spiarlo. Il colonnello, colpito anche lui dalla sofferenza, ma anche dal coraggio di quest’uomo in cui tutto parla di Dio, passa qualche informazione alle autorità comuniste ma allo stesso tempo fa amicizia con Van Thuân e lo avverte dei pericoli in cui può incorrere.

Durante l'isolamento è solito celebrare la Santa Messa intorno alle 3 del pomeriggio, l’ora di Gesù sulla croce. Tutto da solo, canta la messa in latino, in francese e in vietnamita. Cantava anche gli inni come il Te Deum, il Pange Lingua, il Veni Creator Spiritus. Le guardie che lo ascoltano esterrefatte ne restano affascinate e gli chiedono di insegnare loro il Veni Creator Spiritus

La sua bontà instancabile, il suo amore anche e soprattutto per i nemici, colpiscono tutti  ovunque si trova. Sulle montagne di Vinh Phù, nella prigione di Vinh Quang, una volta chiede a una guardia il permesso di tagliare un pezzetto di legno a forma di croce. La guardia lo accontenta. In un’altra prigione chiede un pezzo di filo elettrico. Temendo che volesse suicidarsi, l’agente si spaventa ma Van Thuân gli spiega che vuole semplicemente fare una catenella per portare la sua croce. Dopo tre giorni la guardia ricompare con un paio di pinze e insieme compongono una catenella. Da quella croce e da quella catena Van Thuân non si separa più. Le porta sempre al collo, anche dopo la sua liberazione, che avviene il 21 novembre 1998, festa della presentazione di Maria Santissima al tempio (Van Thuân era convinto che la sua liberazione fosse stata un ‘dono’ speciale della Vergine, “la Madonna mi ha liberato”[9], come disse egli stesso).

Espulso dal suo Paese è costretto all’esilio forzato a Roma. Qui si trasferisce dal 1991 mentre la sua nomina a cardinale avviene nel Concistoro del 2001 (il 21 febbraio). Dal 24 giugno 1998 è Presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace (di cui era vicepresidente fin dall'aprile 1994). Nel marzo del 2000, anno del Grande Giubileo, viene chiamato da Giovanni Paolo II a predicare gli Esercizi spirituali di Quaresima al Papa e alla Curia romana: è il primo vescovo asiatico a ricevere questo onore nella storia della Chiesa[10]. Muore a Roma il 16 settembre del 2002 al termine di una lunga e dolorosa malattia in cui ha dovuto affrontare anche una rara forma di cancro: ha 74 anni. A cinque anni dalla morte, il 17 settembre 2007 presso la Congregazione per le cause dei Santi è iniziata la causa di beatificazione.

 

Al servizio della Dottrina sociale della Chiesa

Proprio presso il Pontificio Consiglio Giustizia e Pace matura delle convinzioni che nel suo cuore alimenta da tempo come ad esempio quella relativa ad incentivare maggiormente la formazione del laicato per stimolare un autentico rinnovamento della Chiesa: a lui si deve il progetto di pubblicazione del Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa dedicato personalmente a Giovanni Paolo II, una delle sue più profonde intuizioni e ancora oggi una bussola imprescindibile per orientare cristianamente la vita pubblica nelle società occidentali sempre più secolarizzate[11]. La Chiesa, per il Cardinale, conformemente al comando del Signore del Vangelo, è chiamata ad annunciare la Buona Novella a tutte le Nazioni, motivo per cui a essa spetta, per diritto naturale, uno spazio di libertà di espressione e quindi di annuncio che non può essere ristretto da nessuno. Van Thuân, che aveva passato 13 anni della sua vita nelle durissime prigioni di un regime comunista, liberticida e ateo[12], guarderebbe probabilmente con stupore agli odierni dibattiti sull'opportunità o meno della Chiesa (e dei singoli Episcopati nazionali) di intervenire nell'agone del dibattito pubblico manifestando preoccupazione (o soddisfazione) per l'approvazione o la cassazione di una legge o di un progetto di legge. La Chiesa, in quanto agenzia (anche sociale) che promuove il bene dell'uomo è evidentemente interessata alle sorti dei popoli e al loro sviluppo (materiale e morale) fin dalle origini, non da oggi, per cui sarebbe assurdo, ad esempio, negarle il diritto di pubblica espressione per una (malintesa) rivendicazione di laicità. Allo stesso modo, forte è in Van Thuân l'esigenza di formulare una ‘spiritualità politica’ che guardi alle necessità concrete dell'uomo nel quotidiano e non si chiuda nelle sacrestie. Per la famiglia in cui era vissuto «era una cosa scontata il fatto che i cristiani facessero della volontà di Dio il fondamento del pensiero e dell'azione in politica»[13]. Scendendo nell'agone politico, entrando nel mondo del lavoro, insegnando nella scuola e nell'università il cristiano è chiamato a plasmare il mondo secondo il lievito del Vangelo, rispettando certamente la natura propria dei singoli spazi (e quindi, ad esempio, nelle democrazie moderne rispettando la Costituzione, le leggi e o fondamenti dello Stato di diritto) ma senza per questo ‘perdere il sapore’ per restare nel lessico evangelico (cfr. Mt 5, 13-15). Rispettare l’altro non significa quindi ‘silenziare’ o ‘censurare’ il Vangelo, magari nei suoi aspetti più scomodi, ma al contrario presentare l’annuncio liberatore della Buona Novella nel modo e con i mezzi più opportuni che, se a volte possono avvalersi anche del silenzio, altre volte possono richiedere però il grido e anzi la rivendicazione pubblica per il primato della Parola di Dio, l'unica che libera e fa risplendere quella legge morale naturale che il Creatore stesso ha inscritto in ogni uomo.

Uomo di pace, anzi vero e proprio apostolo di pace per tutti i suoi settantaquattro anni di vita, il Cardinale Van Thuân è convinto che la vera pace può venire solo da Dio, come frutto del suo Amore per noi. In questo senso il nemico della pace è anzitutto un nemico di Dio e, in secondo luogo, un nemico dell’uomo. Chi attenta alla pace, attenta alla Verità rivelata che è anzitutto armonia, bellezza (nelle meravigliose vestigia artistiche, architettoniche e non, di Roma, ad esempio, egli - restandone colpito ogni volta di più - vedeva quasi un riflesso della bellezza del Cielo), contemplazione e mistero. Le guerre, le ingiustizie e le oppressioni contro l’uomo sono a ben vedere nient’altro che ribellioni al disegno di amore eterno del Creatore e al suo progetto di vocazione sull’uomo. Si tratta di un aspetto fondamentale per comprendere il contributo del Servo di Dio allo sviluppo della Dottrina sociale della Chiesa. Anche in carcere, Van Thuân non smetterà mai di sollecitare il suo prossimo (si trattasse anche dei suoi persecutori) a interrogarsi sul senso della vita perché resta convinto che la domanda sul senso dell’esistenza sia una domanda ineludibile e costituisca una caratteristica dell’essere umano in ogni angolo del pianeta. Le ideologie moderne e le loro utopie distruttrici, che egli visse e patì in prima persona, non possono mai cancellare, per quanto si sforzino, le domande e i desideri di felicità e pienezza che abitano il cuore di ogni uomo. Anche in chi pecca e persevera nel peccato, resta comunque un fondo (per quanto piccolo) di speranza. E’ la voce della coscienza, specchio di Dio, che lo richiama ad alzare gli occhi al Cielo e che non si stanca mai di ripetere: la tua vita vale di più di questo. Così - e letteralmente, senza esagerare - molte persone che ebbero la grazia di conoscerlo, nelle situazioni più inimmaginabili, cambiarono davvero la loro vita. Quell’uomo in catene, senza affetti personali, povero e sofferente nel fisico, era felice. Come quando gli chiesero cosa provasse una volta uscito dal carcere, se adesso fosse veramente felice. «Ma io ero già felice!»[14], rispose egli senza esitazione. E’ lo stile sempre autentico, eppure oggettivamente vertiginoso agli occhi del mondo, dei Santi che testimoniano spontaneamente l’amore di Dio perché lo vivono in prima persona. La società umana quindi, e anzitutto la comunità politica che la governa, per Van Thuân non deve mai espungere la domanda di senso dalla propria prospettiva e dal proprio dibattito pubblico perché farebbe male anzitutto a se stessa[15]. Nel Vangelo e nella Parola di Dio si legge la vocazione di ogni uomo, oggi, non soltanto 2000 anni fa, perché – veramente – solo Cristo sa che cosa c’è nel cuore di ogni uomo.

Da questa prospettiva non è sbagliato affermare che la vita del Servo di Dio vietnamita fu, nel senso più pieno del termine, Dottrina sociale in azione[16]. Van Thuân intende infatti la Dottrina sociale della Chiesa non come una teoria (o un insieme di teorie, o al più di generiche esortazioni agli uomini di buona volontà) ma come un progetto esigente di verità sull’uomo, anzitutto da vivere, testimoniare e trasmettere. La Dottrina sociale non è un libro (né tantomeno un convegno) ma una missione da svolgere, a cui tutti siamo chiamati, ognuno secondo la propria vocazione particolare, per il bene dell’umanità e al servizio di Dio. Essa comprende ogni aspetto della vita sociale appunto perché l’uomo è chiamato (secondo il senso ora illustrato) a vivere in società, contribuendo a santificarla e santificandosi egli stesso: si tratta pertanto di una visione integrale (e non settoriale) che prende in esame l’agire umano in ogni suo aspetto e ne valuta le conseguenze alla luce della retta ragione, del diritto naturale e certamente anche del Vangelo. Per questo la Dottrina sociale è parte integrante, per non dire essenziale, del Magistero e dell’insegnamento della Chiesa nel suo insieme. Il Cardinale Van Thuân (che pure si è occupato a lungo anche di ‘aspetti economici’, come il debito dei Paesi in via di sviluppo, le crisi finanziarie e la globalizzazione commerciale dei mercati) non ha mai limitato - fedele all’insegnamento della Cattedra di Pietro, d’altronde - la prospettiva della Dottrina sociale della Chiesa alla mera ‘questione sociale’, come abitualmente la intendono i mezzi di comunicazione laici. O meglio, quella che molti definiscono la cosiddetta ‘questione sociale’ va letta e interpretata ben oltre i confini degli eventuali dibattiti sui livelli di ricchezza o povertà economica dei singoli Paesi, o delle singole società, per abbracciare invece l’intero complesso della ricca vicenda umana: diritti umani e libertà (in primis la libertà religiosa), pace e sviluppo morale, fede e vocazione.      

Il Vangelo, insomma, fa parte della quotidianità dell'uomo e della sua fatica: quell'uomo che, per utilizzare le parole del Papa Giovanni Paolo II, a lui particolarmente caro, in Encicliche fondamentali per il suo pontificato comeRedemptor hominis (1979) e Centesimus annus (1991) è “la via della Chiesa”. Alla Chiesa interessa l'uomo perché Cristo si è rivelato a ogni uomo e si è immolato per ogni uomo. L'antropocentrismo cristiano, contrariamente ad altri che si sono avvicendati nella storia, pone al centro l'uomo perché vuol glorificare Dio e, viceversa, proprio glorificando Dio eleva l'uomo. Alcuni sociologi della religione di cultura anglosassone descrivono questo rapporto tipico ed originalissimo del Cristianesimo in modo forse eccessivamente pragmatico ma non per questo errato: essere cristiano conviene all'uomo. Nel senso che l'antropologia cristiana ha tutto quel che serve per essere felici, anche restando dei semplici laici  vivendo e lavorando nel mondo. D'altronde, Cristo stesso, non ha forse lavorato per gran parte della sua vita? La Dottrina sociale della Chiesa non è dunque altro che il Vangelo sociale, intendendo con questa espressione anzitutto gli aspetti pubblici e comunitari della Rivelazione cristiana. Dio si è incarnato per salvare certamente ogni singolo individuo, ma gli individui vivono geograficamente e storicamente all'interno di popoli, non sopra degli eremi ognuno per conto suo. Le espressioni più belle e commoventi di amore dell'Antico Testamento hanno per oggetto il Signore che parla al Suo popolo, che educa il Suo popolo, che vuol liberare il Suo popolo. Analogamente, una delle volte in cui Gesù piange più amaramente è per i peccati della gente di Gerusalemme, che tanto amava. Questo insegnamento ha conseguenze molto feconde per la vita associata: implica, ad esempio, che gli uomini politici tengano presente Dio nelle loro decisioni. Diversi biografi di Van Thuân mettono in luce il fatto che il grande Cardinale avesse un'idea altamente nobile della politica, sostenendo che «quando Dio è presente nelle decisioni politiche e la volontà del Signore convalida gli sforzi politici di un Paese, ne risultano grandi benefici per esso per i suoi cittadini»[17].  Ne era così convinto da presentare una sorta di “Beatitudini per gli uomini politici”, che rese famose a Milano in una Messa per l'anniversario della morte di Amintore Fanfani (1908-1999), già presidente del Consiglio e più volte ministro in Italia tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta. Si tratta di una dettagliata serie di esortazioni indirizzate alla coscienza dell'uomo politico nella certezza che, prima che al popolo o al parlamento, egli dovrà rispondere del suo operato davanti a Dio:

<<Beato l'uomo politico che opera per il bene comune e non per i suoi interessi personali.

 Beato l'uomo politico che è coerente con se stesso, con la propria fede e che mantiene le promesse elettorali. 

 Beato l'uomo politico che opera per l'unità e fa di Gesù il fulcro della sua difesa.

 Beato l'uomo politico che opera per cambiamenti radicali, che rifiuta di chiamare bene il male e che ha il Vangelo come guida.

 Beato l'uomo politico che ascolta il popolo prima, durante e dopo le elezioni, e che ascolta sempre Dio nella preghiera.

 Beato l'uomo politico che non teme la verità o i mezzi d'informazione, poiché nell'ora del giudizio dovrà rispondere a Dio solo e non alle folle o ai mezzi d'informazione.>>

Espressioni forti come «rifiutar[si] di chiamare bene il male» riportano ai grandi profeti dell'umanità che solitamente passano inascoltati perché esigono pubblicamente il rispetto di verità eterne (che non dipendono dal giudizio dei parlamenti ad esempio) e non si arrendono alle opinioni del momento che vanno per la maggiore nel mondo. Il regnante Pontefice ha ripreso più volte questa espressione con particolare riferimento al delitto di aborto legalizzato dalle società occidentali che uccide quanto di più innocente possa esistere, ma in Van Thuân la denuncia del male non è minore perché se grande è la misericordia divina di cui l'uomo può essere certo, altrettanto grande deve essere lo sforzo per farne la volontà e non incorrere nel castigo finale. Si vede così come amore di Dio e amore del prossimo vadano insieme in modo e che non può compiersi l'uno senza compiere anche l'altro. Chi ama Dio è chiamato a rispettare dunque la dignità della persona umana (quale originalissima imago Dei) e l'inviolabilità della vita offerta dal Creatore. D'altra parte, il popolo che fa la volontà di Dio ha davanti a sé un futuro luminoso perché può essere certo di ricevere la benedizione del Signore. Possono sembrare forse discorsi legati a una Cristianità che non c'è più o, anche (se si vuole), a una certa tradizione spirituale tipica della terra di origine del grande Cardinale in cui il destino delle comunità terrene è legato in uno stretto rapporto con l'osservanza del Decalogo divino. Ma Van Thuân non ha mai avuto paura delle sfide della modernità in quanto tale. Era anzi convinto che la Chiesa dovesse prepararsi adeguatamente e studiare con attenzione le grandi questioni che emergevano all'orizzonte tra la fine del XX e l'inizio del XXI secolo: la globalizzazione, lo sviluppo tecnologico, il terrorismo, il nuovo ordine geopolitico internazionale. Perché la Chiesa, da sempre, possiede la risposta a tutte le domande dell'umanità: Cristo, che rimane l'unica risposta, perché unica verità, ieri, oggi e sempre. Si spiega così il suo grandioso coraggio (altrimenti inspiegabile secondo criteri di giudizio meramente umani) e il suo abbandono[18] a quel martirio silenzioso che ha contraddistinto la sua vita di sofferenza e in cui tuttavia non ha mai perso quella fondamentale virtù che è la speranza[19]. La sua figura resta per questo ‘segno di contraddizione’ anche per i nostri tempi post-moderni, e forse anche ‘ultra-moderni’, in cui, ad uno sguardo superficiale, la scienza e la tecnica sembrerebbero aver risolto (o apprestarsi a risolvere) ogni problema dell'umanità.

La lezione di Van Thuân è che il martirio non scompare dall'esistenza umana, neanche oggi, e questo anzitutto nel suo amato Paese. Ma neanche se si riuscissero a risolvere, per assurdo, tutti i problemi politici, economici o sanitari della terra le cose cambierebbero. Perché rimarrebbero ancora il peccato, la morte, il dolore, la sofferenza, l'enigma della vita in quanto tale che sfugge alle ermeneutiche razionaliste o riduzioniste del senso. Rimarrebbe, direbbe forse Van Thuân citando quel San Paolo di cui pure aveva imparato a memoria intere Lettere, il Mysterium iniquitatis, il mistero del male che rende ragione dei limiti dell'uomo, come dimostra ampiamente, fra l'altro, il fatto storico che ogni volta che ha cercato di costruire delle 'società perfette', 'indipendenti da Dio' o senza-Dio, l'uomo è riuscito a combinare soltanto catastrofi. E' stato giustamente osservato che il XX secolo è stato il secolo dei martiri: considerando lo sviluppo del Cristianesimo dal Venerdì Santo ad oggi, in nessun altra epoca della storia sono morti ammazzati così tanti cristiani come nel '900. Se si considerano i cristiani morti nel XX secolo per la loro fede si raggiunge una cifra di gran lunga superiore a quella di tutti gli altri 19 secoli messi insieme. Tra questi, molti amici, familiari e confratelli vietnamiti del Servo di Dio Van Thuân. E, contemporaneamente, il '900, inaugurato nel mito del progresso e della felicità sulla terra, è stato anche il primo vero secolo in cui Dio è stato cacciato pubblicamente e ripetutamente dal palcoscenico della storia. Le due grandi ideologie sanguinarie, comunismo e nazismo, hanno in comune il fatto di aver iniziato la lotta contro Dio buttando i crocifissi giù dalle aule dei luoghi pubblici, come scuole e tribunali di giustizia, per esercitare finalmente una cultura e una giustizia totalmente senza Dio.    

Molti nel mondo hanno creduto, talvolta con estrema ingenuità, di costruire davvero il Paradiso nella loro Patria. Il risultato sono stati i lager e i gulag, genocidi e pulizie etniche, stupri di massa e odi razziali. All'inizio e alla fine del “secolo del martirio”, come lo ha chiamato lo stesso Giovanni Paolo II, due genocidi cristiani: quello ai danni del popolo armeno e quello ai danni del popolo sudanese. Com'è stato possibile tutto ciò? Storici e filosofi da anni si affaticano sulle risposte da dare elaborando complicati ragionamenti e astruse argomentazioni. Il Cardinale Van Thuân forse, da parte sua, avrebbe guardato negli occhi i suoi interlocutori, con quello sguardo di umiltà e di amore con cui aveva convertito molti suoi carcerieri e avrebbe risposto semplicemente indicando il Cielo: perché hanno dimenticato Dio - avrebbe risposto - e il suo sacrificio di amore. Il giorno del suo funerale Giovanni Paolo II lo salutò così, come si salutano gli uomini che fanno la storia, quelli che lasciano un mondo migliore di come l'avevano trovato: «Nel porgere l'ultimo saluto a questo eroico araldo del Vangelo di Cristo, ringraziamo il Signore per averci dato in lui un esempio luminoso di coerenza cristiana fino al martirio. Ha affermato di sé con impressionante semplicità: ‘Nell’abisso delle mie sofferenze non ho mai cessato di amare tutti, non ho escluso nessuno dal mio cuore’. Egli ci lascia, ma resta il suo esempio. La fede ci assicura che non è morto, ma è entrato nel giorno eterno che non conosce tramonto». 

Bibliografia

G. Crepaldi, Omelia in occasione del primo anniversario della morte del Cardinale François-Xavier Nguyen Van Thuan, Roma 2003.

A. M. Sicari, L’undicesimo libro dei ritratti dei Santi, Jaca Book, Roma 2009.

A. Valle, Il Cardinale Van Thuan. La forza della speranza, Cantagalli, Siena 2009

A. N. Van Chau, Il miracolo della speranzaIl cardinale François-Xavier Nguyen Van Thuân apostolo di pace, San Paolo, Cinisello Balsamo 2004.

F. X. Nguyen Van Thuân, La speranza non delude, Città Nuova, Roma 1997.

Id., Testimoni della speranza. Esercizi spirituali tenuti alla presenza di Sua Santità Giovanni Paolo II, Città Nuova, Roma 2000. 

Id., Cinque pani e due pesci. Dalla sofferenza del carcere una gioiosa testimonianza di fede, San Paolo, Cinisello Balsamo 2002.

Id., Il cammino della speranza. Testimoniare con gioia lappartenenza a Cristo, Città Nuova, Roma 2001

Id., Preghiere di speranza. Tredici anni in carcere, San Paolo, Cinisello Balsamo 2007.

Id., Spera in Dio!, Città Nuova, Roma 2008.

Id., Scoprite la gioia della speranza, Art, Roma 2009.

[1]    Come ebbe a dichiarare lui stesso: «Mia madre instillò nel mio cuore questo amore per Maria quando ero ancora un bambino» in A. N. Van Chau, Il miracolo della speranza. Il cardinale François-Xavier Nguyen Van Thuan apostolo di pace, Cinisello Balsamo 2004, pag. 55. Da grande, poi, all'interno delle sue abitazioni porterà sempre un'immagine della Madonna di Fatima, dove si recherà più volte come pellegrino. La scoperta degli scritti mariani di San Luigi Maria Grigion de Montfort (1673-1716), in particolare il Trattato della vera devozione a Maria, ne farà infine a tutti gli effetti un convinto apostolo della devozione mariana, come via preferenziale di avvicinamento a Gesù, in tutto il mondo. 

[2]    L’aiuteranno su questa via l'esempio encomiabile della madre, che affida gli assassini dei fratelli alla misericordia del Padre celeste e la meditazione assidua sulla morte del gesuita messicano padre Pro che, poco prima di morire, pronunciò parole di sincero perdono verso i suoi carnefici.

[3]    In questi anni resta molto colpito dai drammi delle guerre e delle violenze sociali che si consumano senza soluzione di continuità in patria e all'estero. Ne ricava una lezione sulla fragilità dei sogni e la vanità delle imprese umane. Sul proprio anello episcopale fa così incidere le celebri parole della mistica carmelitana spagnola Santa Teresa d'Avila (1515-1582): “Todo pasa” (Tutto passa).

[4]    Di lui il Papa, elogiandolo come un vero confessore della Fede dei tempi moderni, aveva poi parlato espressamente nel suo libro, Alzatevi, andiamo!, Milano 2004. Il regnante Pontefice, Benedetto XVI, lo cita invece due volte, prendendolo ad esempio come uomo di preghiera e speranza, nell’Enciclica sulla speranza cristiana, Spe Salvi, Roma 2007.

[5]    F. X. Nguhen Van Thuân, Il cammino della speranza. Testimoniare con gioia lappartenenza a Cristo, Roma 2001. Sarà tradotto in dodici lingue.

[6] “La mia sola forza è l'Eucaristia”, dirà una volta libero a chi gli chiedeva ragione di come avesse fatto a sopravvivere  a una simile odissea: meditazioni ricorrenti sul tema si possono trovare in F. X. Nguyen Van Thuân,Cinque pani e due pesci. Dalla sofferenza del carcere una gioiosa testimonianza di fede, Cinisello Balsamo 2002.

[7] Con le parole di Mons. Giampaolo Crepaldi, Arcivescovo di Trieste e Presidente dell'Osservatorio Internazionale            Cardinale Van Thuân sulla Dottrina Sociale della Chiesa, «l'amore donava una spiccata tonalità eucaristica alla sua        spiritualità». Cfr. G. Crepaldi, Omelia in occasione del primo anniversario della morte del Card. François-Xavier Nguyen Van Thuân, 16 settembre 2003, Roma.

[8] Cfr. le commoventi riflessioni che sviluppa a tal proposito padre Antonio Maria Sicari nel suo profilo dedicato in A.  M. Sicari, Lundicesimo libro dei ritratti dei Santi, Roma 2009.

[9]    Cfr. A. Valle, Il Cardinale Van Thuân. La forza della speranza, Siena 2009, pp. 28-29.

[10]  Le riflessioni sono state poi pubblicate in F. X. Nguyen Van Thuân, Testimoni della speranza. Esercizi spirituali tenuti alla presenza di Sua Santità Giovanni Paolo II, Roma 2000. 

[11]  Cfr. Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, Libreria       Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004.

[12]  Contro il comunismo e le sue ingiustizie Van Thuân si batté fin da quando fu nominato giovane vescovo: non celò mai «la sua opposizione alle menzogne e agli errori del comunismo e alcune sue lettere pastorali contenevano vigorose condanne del marxismo». Cit. in A. N. Van Chau, op. cit., p. 207.

[13]  A. N. Van Chau, Il miracolo della speranzaIl cardinale François-Xavier Nguyen Van Thuan apostolo di pace, Cinisello Balsamo 2004, p. 30.

[14]  Cfr. A. M. Sicari, op. cit., pag. 334.

[15]  Ne dà una straordinaria descrizione il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa nella Parte Prima, vedi in particolare il capitolo Primo (“La persona umana nel disegno di amore di Dio”), cfr. Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, op. cit., pagg. 33-45.  

[16] Mons. Crepaldi, precedentemente citato, in un’omelia sul Servo di Dio afferma giustamente che per Van Thuân      «rimanere nel Signore non è ozio né passività. È un'azione, un atto d’amore per Dio». Cfr. G. Crepaldi,Omelia in occasione del primo anniversario della morte del Card. François-Xavier Nguyen Van Thuân, 16 settembre 2003, Roma.

[17]  Così in A. N. Van Chau, op. cit., p. 306.

[18]  Racconta a tal proposito mons. Crepaldi che fu a lungo suo collaboratore presso il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace: «Quando, nel disbrigo delle pratiche e delle attività del Dicastero, insorgevano problemi o intervenivano difficoltà ardue da risolvere e governare, il Cardinale era solito rassicurarmi esclamando, con evangelica semplicità: "Non si preoccupi, il Signore ci salva!". Non fuggiva dalle sue responsabilità, ma riportava tutto sotto la prospettiva giusta della volontà misericordiosa di Dio e del Suo amore provvidente. Quella sua esclamazione rivelava la qualità spirituale della vita interiore del Cardinale e costituisce la chiave per penetrare il mistero della sua anima. Tutto è nelle mani di Dio e tutto va posto nelle sue mani, senza resistenze e con assoluta fiducia». Cfr. G. Crepaldi, Omelia in occasione del primo anniversario della morte del Card. François-Xavier Nguyen Van Thuân, 16 settembre 2003, Roma.

[19]  Su questo aspetto in particolare cfr. F. X. Nguyen Van Thuân, Preghiere di speranza. Tredici anni in carcere, Cinisello Balsamo 2007.