Il dramma del dolore umano mette sul banco degli imputati Dio
Filmati : Papa Francesco perchè Dio
PapaFrancesco La preghiera è la vera medicina per la nostra sofferenza
PapaFrancesco Veglia di Preghiera per asciugare le lacrime
(da 42:00 Omelia del Papa)
Da Vatican Player Papa Francesco
"Nei momenti di tristezza, nella sofferenza della malattia, nell’angoscia della persecuzione e nel dolore del lutto, ognuno cerca una parola di consolazione". Lo ha detto Papa Francesco durante la Veglia per asciugare le lacrime che si è svolta nella Basilica di San Pietro. “Sentiamo forte il bisogno che qualcuno ci stia vicino e provi compassione per noi”, ha proseguito: “Sperimentiamo che cosa significhi essere disorientati, confusi, colpiti nel profondo come mai avevamo pensato. Ci guardiamo intorno incerti, per vedere se troviamo qualcuno che possa realmente capire il nostro dolore. La mente si riempie di domande, ma le risposte non arrivano. La ragione da sola non è capace di fare luce nell’intimo, di cogliere il dolore che proviamo e fornire la risposta che attendiamo. In questi momenti, abbiamo più bisogno delle ragioni del cuore, le uniche in grado di farci comprendere il mistero che circonda la nostra solitudine”. Il Signore, ha ricordato Francesco, “ha promesso ai suoi discepoli che non li avrebbe mai lasciati soli: in ogni situazione della vita Egli sarebbe stato vicino a loro inviando lo Spirito Consolatore che li avrebbe aiutati, sostenuti e confortati”.
Asciugare le lacrime vuol dire anche avere una condivisione con chi soffre. Abbiamo avuto infatti delle persone care che hanno avuto questa grande sofferenza e hanno lavato veramente le loro vesti nel sangue.
D. – Quanto la fede dà sollievo in questi casi?
R. – Dà tanto sollievo, perché è una prova immane, veramente. E solo se si ha fede si riesce a superare questo muro invalicabile, che è la sofferenza.
R. – La fede è importante per asciugare le lacrime. Tutti noi abbiamo bisogno della consolazione del Papa. E’ importantissima, quindi, questa Messa, questa celebrazione.
R. – Ci sta dando tanto, come famiglia, come figli, come genitori. Anch’io dico che la fede ci aiuta molto. Noi dobbiamo stare più vicini al Signore e avere molta fede in Lui.
R. – E’ molto emozionante; è una cosa che tocca il cuore e l’anima.
R. – Io personalmente ne ho bisogno. Più che altro, però, queste cose si fanno soprattutto per gli altri. Si viene qui, quindi, con uno spirito non tanto rivolto a se stessi, ma con uno spirito altruista.
R. – E’ una veglia di consolazione per persone che hanno vissuto gravi situazioni familiari. Il mio papà è morto 40 anni fa, vittima del terrorismo.
D. – Che esperienza porta lei per essere qui in questa giornata?
R. – E’ una storia lunga: non si vede dall’esterno, è una cosa interna. E’ molto importante, per me personalmente e per chi mi sta vicino.
D. – La fede può essere un balsamo in questo caso?
R. – Secondo me sì, per chi sta veramente nel dolore, nella disperazione, nell’angoscia - credo ci siano tante persone così - è tutto!
R. – Noi abbiamo il grande dono di conoscere, di sapere che Dio continuamente, insieme alla Madonna, insieme alla nostra Madre, asciuga le nostre lacrime. La possibilità di venire qui oggi: vengo veramente a nome mio, portando le mie lacrime, ma portando con me le lacrime di tutti i miei fratelli e sorelle che per motivi veramente validi piangono, per mancanza di vita, di dignità, di amore.
Messaggio ricevuto da un Amico
Domanda: Nei luoghi della sofferenza innocente Dio dov'è? con chi sta? perché tace? Risposta: Dio tace perchè ha già risposto una volta per tutte in modo irrevocabile e inequivocabile con il paradosso della Croce che fa del fallimento umano la via della Salvezza per l'umanità e l'intera creazione. Il famoso teologo ebreo Hans Jonas nel suo libro "Il concetto di Dio dopo Auschwitz" del 1991, condividendo i risultati degli studi di diversi altri autori, ha scritto che lo scandalo del cristianesimo è che "Dio non è onnipotente, bensì Spirito d'amore, è Amore". Il Dio cristiano, il Dio di Gesù Onnipresente nella storia umana, ci viene detto, è Spirito di sapienza, di giustizia, di verità, di grazia, di misericordia. Cristo è il Dio della chenosi, è il mistero della negazione dell'onnipotenza divina nel nome dell'Amore e su questo concetto si fonda il paradosso della potenza dell'Amore che è anche la sua debolezza (infatti, l'amore per esistere deve essere condiviso da colui/lei che lo riceve).
All'opposto, l'idea tradizionale di un Dio dotato di potere assoluto di ingerenza nelle azioni umane è tuttora accolta dall'ateismo storico e postmoderno, ovviamente solo per negare la sua esistenza, in quanto considera Dio una finzione inventata dagli uomini per cercare di sopravvivere all'ineluttabilità della morte.
E' il Dio dei c.d. Maestri del dubbio, Marx, Freud, Feuerbach, Nietzsche, Sartre.....che incalzano l'uomo a cercare il bene e la felicità affidandosi unicamente alla ragione, all'utilità, al pragmatismo e all'edonismo individuale e sociale (è l'ateo Prometeo che si ritiene onnipotente, con quali risultati si è visto nella storia tragica del c.d. secolo breve!)
Accanto al concetto di Onnipotenza c'è anche quello di Provvidenza, in genere egualmente travisato, perché la Provvidenza del Dio cristiano non riguarda primariamente la pura immanenza. In effetti, da molti secoli constatiamo che la Provvidenza divina si intromette assai raramente negli accadimenti della vita ordinaria delle popolazioni per evitare le loro sofferenze, proteggerle da sciagure e risanare le loro malattie: la vita si svolge imperturbabile nel mondo nonostante le innumerabili Messe celebrate ogni giorno sugli altari!
Questo succede, ci dicono gli addetti ai lavori, perché essa riguarda essenzialmente due "occupazioni" principali : - da un lato quella di mantenere viva nei cuori dei fedeli la promessa irrevocabile della salvezza e della "vita nuova" offerta all'intera umanità (cioè la promessa del Regno al centro di una nuova Creazione perfetta con cieli e terra nuovi), - dall'altro lato quella di assicurare l'ininterrotta sussistenza dell'attuale Creazione, imperfetta per costituzione in quanto in continuo divenire (tranne l'ordine del cosmo e le sue leggi create una volta per sempre), una Creazione in cammino secondo un Disegno Intelligente che ha prestabilito la sua finalità.
L'imperfezione dell'attuale Creazione – come ci insegnano gli scienziati delle varie discipline – deriva unicamente dalla circostanza che "tutto ciò che esiste e che viene alla vita è creazione in cammino", un incessante divenire che si svolge per effetto dei noti principi di emergenza e di convergenza continua.
La perfezione, infatti, può concernere esclusivamente la fissità e la permanenza non il cambiamento, ossia l'eternità! Conseguono da queste due "occupazioni" due plausibilità : - la Natura è costitutivamente imperfetta come tutte le creature viventi o come diciamo correntemente è Matrigna; - Dio è onnipotente e provvidente non nel coartare le azioni degli uomini, lasciati pienamente responsabili delle loro libere decisioni, ma nell'amarli e guidarli alla vita eterna del Regno.
Dalla Fonte : Formazione permanente del Clero
Dio sul banco degli imputati
Dinanzi al dolore provocato da una grave malattia o da un difficile distacco, i protagonisti interpellano Dio:
– Perché Dio ha permesso questo? – Perché Dio ce l’ha con me? – Perché Dio fa soffrire gli innocenti e non punisce i cattivi? – Perché Dio non risponde alle mie preghiere? – Perché Dio non interviene, se vuole veramente bene alle sue creature? – Che cosa vorrà Dio da questa sofferenza? – Che cosa ho fatto di male? – Non avrò pace finché non trovo un perché…
La litania dei “perché” non finisce mai. E non trova risposte esaurienti. Anche perché, generalmente, l’interrogatorio è a senso unico e non si è pensato di capovolgerne la prospettiva.
E’ raro trovare persone che si chiedono il contrario: “E perché non a me?”; “Sono forse migliore o più importante degli altri?”.
Ciò che comunque accomuna questa domande rivolte a Dio è il senso di aspettative mortificate o tradite e la percezione di ingiustizie subite.
Il marito di una donna ormai prossima alla morte così si sfogava: “C’è gente che non va mai in chiesa, che non prega mai. Ma a loro non capita mai niente! Mia moglie ha pregato sempre ed è sempre andata in chiesa e guarda un po’ il premio che ha ricevuto! Non capisco proprio perché Dio agisca così”.
Sottesa alla sua riflessione c’è l’aspettativa che l’azione di Dio debba corrispondere all’atteggiamento delle sue creature, quindi che la fede sia una garanzia contro gli infortuni e protegga dalle sventure. Questo tipo di fede è il più vulnerabile e non aiuta ad affrontare quello che, presto o tardi, sarà il nostro destino. Pretendere che la fedeltà di Dio protegga dalla sofferenza è utopia: non è accaduto a Giobbe, né ai suoi discepoli; e non accadrà a noi.
Sì: il dramma del dolore umano mette sul banco degli imputati Dio.
Il silenzio di Dio
Le tragedie umane ripropongono la domanda: “Perché Dio ha permesso questo?”, e ancora più importante: “Dov’è Dio in tutto questo?”.
Molti sono delusi perché Dio non interviene né si pronuncia chiaramente. Dio tace. E il suo silenzio ferisce e stupisce.
Molti sono turbati dinanzi a un Dio che tace di fronte alle ingiustizie umane, permette le catastrofi naturali, lascia morire e uccidere i bambini, non interviene per impedire le crudeltà perpetrate dai diversi tiranni che balzano sulla scena del mondo. Un suo intervento basterebbe a eliminare ogni dubbio sulla sua esistenza e alimenterebbe la fiducia in una giustizia al di là della temporanea oscurità provocata dalle sciagure sperimentate a livello personale, familiare o nazionale.
Invece Dio tace, o comunque non dà quelle risposta chiare che la gente si attende. Sembra, allora, che sia assente o indifferente ai dolori dell’umanità. Ma il mistero dell’incarnazione e della crocifissione testimoniano altrimenti: “Il dolore, la sofferenza, la morte, prima che essere un dramma della persona umana, sono il dramma di Dio. Sotto certi aspetti esso rimanda al problema della libertà e, ad altri livelli, si rifà allo stesso problema del limite e del nulla” (Congar).
Dio deve convivere con i limiti di un mondo da lui creato. “Per questo per me Dio non è mai colpevole, non c’è colpa in Dio. Egli non può e non deve intervenire. Diversamente, nel caso non intervenisse, potendolo, sarebbe un Dio che si diverte davanti a troppe sofferenze incredibili e inammissibili. Ecco dunque perché il dramma è anche di Dio. E perché la risposta migliore è sempre quella di Gesù di Nazareth, che alla fine dice: “Padre, nelle tue mani rimetto il mio spirito” (Congar).
Un Dio che non interviene drasticamente per cambiare dall’esterno il corso degli avvenimenti non significa che non sia un Dio presente all’interno delle persone che vivono queste esperienze.
Alla vista di un bambino agonizzante in un campo di concentramento, un prigioniero domandò: “Dov’è Dio, in questo momento?”. Dal profondo del cuore Diesel sentì una voce che disse: “Dov’è Dio? E’ lì, impiccato su quei pali”.
Dio non è spettatore delle tragedie umane, ma partecipe; non è osservatore del dolore, ma compagno nel cammino. Dio non risponde verbalmente al dolore. Dio è presente nel dolore e, in modi diversi e misteriosi, aiuta ad affrontarlo.
La propria umanità sul banco degli imputati
Nel vocabolario della sofferenza si può isolare un secondo filone di espressioni che non si basano sui “perché”, ma sui tanti “se” proferiti da coloro che non riescono ad accettare quanto è accaduto:
– Se avessi imparato a dire di “no”, adesso non sarei qui a soffrire. – Se mi fossi comportato diversamente, questo non sarebbe successo. – Se avessi seguito le indicazioni del medico, non mi troverei così mal ridotto. – Se l’avessi portato prima dal medico, forse si sarebbe potuto salvare. – Se mi avesse dato ascolto, probabilmente sarebbe ancora tra noi. – Se… Se… Se…
Questi “se” non hanno il potere di cambiare il passato.
Dietro queste espressioni si cela la percezione di un fallimento personale, alla luce del falso convincimento che uno possa cambiare il corso degli avvenimenti.
L’uomo moderno ha illusioni moderne e una di queste è l’idea di poter correggere assolutamente tutto. Così c’è il rischio che si instauri una mentalità o che abbia il sopravvento l’illusione che tutto si può correggere, che non ci sono limiti al potere umano.
Anche se è vero che, talvolta, esistono situazioni di sofferenza a cui noi stessi abbiamo contribuito con i nostri atteggiamenti o con le nostre decisioni, ne esistono altre che rimangono al di fuori del nostro raggio di responsabilità, nel senso che non potevamo prevedere o modificare l’evolversi degli avvenimenti.
I “se” che spesso esprimono valutazioni irrealistiche di responsabilità mancate, riflettono la difficoltà ad accettare la propria povertà ed impotenza e a riconciliarsi con quanto è accaduto.
Il senso di colpa si guarisce attraverso la disponibilità a perdonarsi per le proprie debolezze e imperfezioni; la pace e la serenità si recuperano valutando con realismo ed equilibrio l’imprevedibilità della vita e i limiti della propria umanità.
Il destino ha voluto così
Episodi incresciosi e drammatici sfidano l’uomo a collocare le tragedie e l’imprevisto in un contesto che renda spiegabile l’inspiegabile; ecco allora il ricorso alla parola “destino” che, nella sua indefinibilità, rappresenta un tentativo di dare un nome all’indecifrabile e all’irrimediabile.
La cultura del “fatalismo” è, per così dire, rappresentata da due correnti: la prima è formata da coloro che attribuiscono la causa della sofferenza alla fatalità, a un destino cieco, o alla cattiveria del prossimo; la seconda da quanti ritengono che il destino di ognuno sia stato deciso a priori da Dio.
– E’ stato scritto così! – Era destino! – Doveva succedere così! – Una volta nato, i tuoi giorni sono contati! – Siamo nati per soffrire! – Sono perseguitato dalla sfortuna! – Oggi tocca a te, domani a me e non c’è niente da fare! – Qualcuno mi ha fatto il malocchio!
A volte la causa delle proprie disgrazie viene attribuita alla cattiveria e alla perfidia del prossimo. Questa è oggi una cultura molto diffusa.
Il destino ha tanti volti e nessun volto: il destino è lo sgomento dinanzi a ciò che è inspiegabile o assurdo; il destino è sentirsi in balia di forze più grandi di noi; il destino è trovarsi al posto sbagliato al momento sbagliato. In questi termini, accettare il destino o la fatalità è un richiamo a convivere con la provvisorietà dell’esistenza.
Ciò che spesso manca nella cultura del fatalismo è l’apertura alla presenza e alla provvidenza di Dio, anche in mezzo alle assurdità delle tragedie umane. Talvolta quello che apparentemente è solo una disgrazia, si può trasformare in una fonte di bene e viceversa.
Dio ha voluto così
– Non cade foglia che Dio non voglia. – Il Signore ha stabilito così. – Il Signore sa cosa è meglio per noi. – E’ volontà di Dio. – Il Signore manda il freddo secondo i panni…
In pratica, queste diverse espressioni ritengono che Dio abbia predisposto un calendario d’esperienze per ogni persona, di cui fa parte anche il dolore. E’ un rifarsi, superficialmente alla teologia della predestinazione, che priverebbe l’uomo della sua libertà, in quanto tutto è già stato stabilito a priori da Dio. Ma Dio non provoca né programma il dolore. Egli ha dato all’uomo la libertà anche se, in quanto Dio, conosce l’uso che ognuno farà di questa libertà. Ma anche Dio, come le sue creature, deve convivere con la realtà che ha creato.
La predicazione e la teologia tendono a sottolineare l’immagine di Dio come onnipresente, onnisciente e onnipotente. Forse si ritiene pericoloso e scandaloso dare spazio alla “debolezza” di Dio, intesa come un suo vivere secondo le leggi del mondo da lui creato. Forse si teme che tale prospettiva rischi di svestire Dio della sua autorità e onnipotenza rendendolo impotente come le sue creature.
Eppure quando Dio, nella pienezza dei tempi, ha scelto di venire ad abitare in mezzo a noi, e lo ha fatto assumendo la condizione di un bambino, che è la più fragile tra le creature, Dio ha scelto la via della povertà e della debolezza per esprimere la pienezza del suo amore.
Nel fare storia con l’uomo, Dio accetta di convivere con le imperfezioni di un mondo che conosce le doglie del parto. Egli non può capricciosamente intervenire di continuo, per cambiare le regole del gioco o prevenire il dolore; non può trasformare il rombo in un quadrato o rendere perfetto ciò che, per natura, è imperfetto. O, pur potendolo, non può continuamente intervenire per correggere gli eventi umani. In questo caso avremmo a che fare con Dio “interventista”, costantemente all’opera per togliere il dolore.
E’ contro questa concezione di Dio che P. Turoldo reagisce: "Non prego perché Dio intervenga. Prego perché Dio mi dia la forza di sopportare il dolore e di far fronte anche alla morte con la stessa forza di Cristo. Non prego perché cambi Dio, prego per caricarmi di Dio e possibilmente cambiare io stesso, cioè noi, tutti insieme, le cose".
Diversamente, se Dio dovesse intervenire, perché intervenire solo per me, guarire solo me, e non guarire il bimbo focomelico, il fratello che magari è in uno stato di sofferenza e disperazione peggiore del mio? Perché Dio dovrebbe compiere queste preferenze?
E se intervenisse per tutti e sempre, non sarebbe, questo, uno stabilire un determinismo non soltanto a livello fisico ma pure a livello morale? Non sarebbe perciò un porre fine al libero gioco delle forze, e quindi un sovvertire lo stesso ordine della creazione? Ordine che non è tanto voluto da Dio quanto imposto allo stesso Dio per via di quella necessità invalicabile del limite, del confine necessario tra Dio e le cose: perché le cose non siano Dio e Dio non sia le stesse cose”.
E’ vero, talvolta avvengono cose inspiegabili che hanno del miracoloso e che possono essere segni dell’intervento divino. Gesù ha fatto dei miracoli, ma non si è adoperato per moltiplicare i pani ogniqualvolta c’erano persone da sfamare; ha guarito alcuni malati, ma non ha sanato tutti gli infermi del tempo; ha fatto risorgere Lazzaro, ma non ha riportato alla vita tutti i defunti di Betania. Ha lasciato dei segni per suscitare la fede, ma non ha inteso trasformare i gesti straordinari in esperienze ordinarie. Le eccezioni non sono la regola, tanto più se le eccezioni si vorrebbero per sé e le regole per gli altri.
In questo caso, quale criterio di giustizia dovrebbe adottare Dio? E come rispondere a coloro che non ne risulterebbero beneficiati?
Ora, che significa tutto questo? Che Dio è impotente? Che Dio ha abbandonato l’uomo in balia del suo destino?
A quanti soffrono, Dio non offre il silenzio di un intervento mancato, di un miracolo trattenuto o di una preghiera inascoltata, ma l’amore infinito di Cristo, la vicinanza incomprensibile della croce, il mistero carico di speranza della resurrezione.
Egli continua ad essere il “Dio con noi” (Mt 1,23), il Dio che “ascolta il grido del povero” (Sal 33), il Dio che ha promesso: “Non vi lascerò, non vi abbandonerò” (Eb 13,5).