Fede e poesia di Padre Turoldo
Fede e poesia in Padre David Maria Turoldo
Relatore Padre Ermes Ronchi
dell'Ordine dei Servitori di Maria
Letture a cura di Orazio Coclite
Da Il Progetto nel sito DMT Centenario della nascita :
Il personaggio noto attraverso i mass media per le sue battaglie in favore dell’uomo, profetico nel denunciare il presente, risulta di estrema attualità ai giorni nostri per i valori che sostiene nei suoi scritti e con il suo impegno, rivolgendosi attraverso la poesia, il teatro, la prosa, le prediche, le interviste televisive e giornalistiche ai grandi temi, dialogando con capi di stato e di Governo, con i protagonisti della storia recente. Passa dalla malattia ai migranti, dalla sofferenza alla pace, dalla povertà alla ricchezza, dalla critica alla Chiesa alla più forte fedeltà, così come vuole evidenziare il progetto di ricerca.
Biografia dal sito DMT Centenario della nascita :
Nato a Coderno di Sedegliano - Udine, 22 novembre 1916 – morto a Milano, 6 febbraio 1992. Padre David Maria Turoldo è stato un religioso e poeta italiano dell’Ordine dei Servi di Maria.
Nono figlio di una tra le più povere famiglie del suo nativo paese, illustra crudamente nel film Gli ultimi la miserevole condizione del Friuli contadino che gli ha dato i natali e ne ha forgiato l’umanità. Nasce durante la Prima Guerra in una situazione di povertà e arretratezza che aumentano al passaggio degli eserciti, aggravando ulteriormente un’economia agricola organizzata in piccole proprietà, alcune in affitto, altre con coloni e mezzadri.
In questo contesto l’orizzonte dei valori è costruito dal prete: ci sono il bene e il male e tanta disciplina, la vita friulana e la fede del popolo che Padre David descrive nelle sue poesie. Il sacerdote vuole bene al giovane Giuseppe e tenta di mandarlo in Seminario per gli studi, ma non ci sono soldi a sufficienza. I frati dell’Ordine dei Servi di Maria, che di tanto in tanto visitano Coderno, accogliendolo in convento, danno la svolta alla sua vita.
Egli entra a tredici anni presso l’Istituto Missioni di Monte Berico, a Vicenza, studia successivamente a Venezia. Nel ’38 emette i voti solenni, in pieno fascismo, nel momento dell’entrata in guerra e il 18 agosto 1940 nel Santuario della Madonna di Monte Berico di Vicenza riceve gli ordini superiori.
Si trasferisce a Milano presso il Convento di Santa Maria dei Servi in San Carlo al Corso e si iscrive all’Università Cattolica, al Corso di filosofia, dove si laurea con il prof. Gustavo Bontadini discutendo una tesi dal titolo, La fatica della ragione – Contributo per un’ontologia dell’uomo, ottenendo, successivamente, il ruolo di Assistente universitario, con il prof. Carlo Bo presso la cattedra di Letteratura all’Università di Urbino. Si laurea nel 1946, dunque studia a Milano durante la guerra e vive la violenza dei tedeschi, degli alleati e della Repubblica di Salò. Lì si domanda, in una grande metropoli con contraddizioni ideologiche enormi, che cosa accada all’uomo e ne è significativa la tesi di laurea.
Nel frattempo, con il suo amico e confratello padre Camillo De Piaz, Turoldo collabora attivamente alla Resistenza antifascista, secondo il principio fondamentale della crescita autentica dell’uomo che deve essere coniugata alla giustizia perché possa nascere la pace. La libertà è il bene di tutti, un bene che deve essere conquistato . In questo periodo contribuisce alla nascita del giornale clandestino l’Uomo, insieme a Dino Del Bo, Mario Apollonio, Gustavo Bontadini, per una resistenza e assistenza ai perseguitati e ai carcerati. Seguirà l’incontro con Eugenio Curriel, con cui ha inizio il Fronte della gioventù, nella volontà di formare un sistema politico nuovo. Nel 1945 padre David è coinvolto in un viaggio umanitario per ricondurre in Italia chi era ancora nei lager tedeschi.
L’8 settembre 1945 riprende la pubblicazione de “L’Uomo, pagine di vita morale”, per parlare, nell’immediato dopoguerra, dell’uomo dopo le atrocità della guerra e per credere negli uomini, per una conciliazione con il mondo e con la storia.
Fonda con De Piaz la Corsia dei Servi, luogo di incontro e di dialogo che accoglie intellettuali di ogni colore e mette insieme le culture.
Predica presso il Duomo di Milano, invitato dal Cardinale Ildefonso Schuster, conquistando la città, dal 1943 al ’53, proponendo alla grande borghesia le necessità del momento, così da raccogliere gli aiuti per Nomadelfia, luogo di accoglienza per gli orfani. Tacciato di ‘comunismo’, viene quindi allontanato dall’Italia e fatto risiedere in vari conventi d’Europa e America del Nord.
Tra il 1948 e il 1952 pubblica due raccolte di liriche “Io non ho mani” (Premio letterario Saint Vincent) e “Gli occhi miei lo vedranno” che gli danno visibilità.
Sono anni di sofferenza e di peregrinazioni in cui egli ricorda con nostalgia gli amici della Corsia e la Messa della Carità che ha istituito per aiutare persone e famiglie in difficoltà. In questo sofferto periodo Turoldo indirizza una lettera anche alla banda del Suo paese nativo, da Innsbruck, con la quale invia il suo canto a Coderno, l’unico in friulano.
Nel 1955 rientra in Italia, per stabilirsi nella Firenze del sindaco Giorgio La Pira e del vescovo Elia Della Costa, dove trova una Chiesa in pieno fermento, precorritrice del Concilio Vaticano II. Qui entra in contatto con Gozzini, don Lorenzo Milani, padre Giovanni Vannucci, don Divo Barsotti, padre Ernesto Balducci, don Enrico Bartoletti, in cui assiste al confronto e alla riflessione su tematiche sociali e religiose e dialogo interreligioso: un pullulare di proposte per una rinascita spirituale. Filoni di uno stesso pensiero che, se vedranno Turoldo allontanato anche, da Firenze, saranno alla base della collaborazione tra religiosi e laici voluta da Papa Montini.
Nel 1961 viene quindi trasferito in Friuli presso il convento udinese di Santa Maria delle Grazie e realizza la sceneggiatura del film Gli ultimi (1962), presto contestato, tratto da un proprio racconto intitolato Io non ero fanciullo.
Durante questo periodo friulano egli istituisce la Messa della Carità e nel promemoria del parroco del convento, in occasione della visita canonica del 1962, riporta Mariangela Maraviglia, nella biografia di padre David, fresca di stampa per i tipi della Morcelliana, c’è “la protesta per una certa prevaricazione subita ad opera di Turoldo per aver così troppo insistito in favore dei poveri, quasi a significare che tutti gli altri se ne siano finora disinteressati”(p. 261, nota 52).
Nel 1964, ristrutturata l’ex-abbazia cluniacense di Sant’Egidio a Fontanella di Sotto il Monte (paese d’origine di Papa Giovanni XXIII, scomparso solo l’anno precedente), vi si ritira, divenendo fondatore e priore della “Casa di Emmaus”, presso cui istituisce il Centro di Studi Ecumenici ‘Giovanni XXIII’, aperto anche a persone atee e di altre fedi, come l’islamica.
Sensibilizza le coscienze nel momento del terremoto del Friuli nel 1976, scrivendo sulla stampa nazionale e rivolgendosi ai friulani all’estero, con articoli in cui fa risaltare l’anima di migranti anche se la vita diventa sempre più fusa e cosmopolita, prevale la civiltà locale. Egli scrive “le nostre radici, la nostra terra fanno parte della propria carne, del proprio sangue. Qui c’è il cimitero dei nostri vecchi, ci salveremo solo nella misura in cui difenderemo i valori del proprio paese, le tradizioni: è come difendere il proprio volto, la propria identità, il lavoro, silenzioso e diuturno lavoro e sempre quella nobile povertà di tutta la nostra gente. Silenziose e maceranti fatiche del Friuli”.
Numerose sono le pubblicazioni di padre Turoldo nell’arco della sua vita, gli interventi, le prediche, opere che testimoniano la sua profezia, cioè il suo aver riconosciuto e denunciato il presente, così come la novità del Concilio e il rinnovamento ecclesiale in dialogo con l’umanità, un poeta, scrive Angelo Romanò le cui poesie “non hanno alcun rapporto con la letteratura contemporanea”.
Turoldo non solo produce numerosi lavori poetici, teatrali e per la liturgia, ma anche interviene su temi scottanti di attualità, quali la legge sul divorzio o il brigatismo rosso, mentre entra in contatto con il segretario del PCUS Gorbaciov, o grida contro il silenzio della Chiesa in America Latina, dove viene assassinato all’altare il vescovo Oscar Romero, beatificato finalmente solo nel 2015.
Attaccato dal cancro, produce ancora due lavori di profonda intensità: Mie notti con Qohèlet e Canti ultimi. Tocca infine al cardinale Carlo Maria Martini, nella consegna a padre Turoldo, qualche mese prima della morte, del primo “Premio Giuseppe Lazzati“, confessare che «la Chiesa riconosce la profezia troppo tardi».
A sua volta il cardinale Gianfranco Ravasi, annunciando nel giugno 2010 la grande iniziativa mondiale di dialogo intitolata Il cortile dei gentili, non manca di citare in apertura proprio alcuni versi dei turoldiani Canti ultimi:
“Fratello ateo, nobilmente pensoso, / alla ricerca di un Dio / che io non so darti, / attraversiamo insieme il deserto. / Di deserto in deserto andiamo oltre / la foresta delle fedi, / liberi e nudi verso / il Nudo Essere / e là / dove la parola muore / abbia fine il nostro cammino”.
Ascoltate la Ballata della speranza
pubblicato da me già da qualche anno :
Ballata della speranza
David Maria Turoldo, Il sesto angelo, Mondadori, 1976
Tempo del primo avvento
tempo del secondo avvento
sempre tempo d'avvento:
esistenza, condizione
d'esilio e di rimpianto.
Anche il grano attende
anche l'albero attende
attendono anche le pietre
tutta la creazione attende.
Tempo del concepimento
di un Dio che ha sempre da nascere.
Avvento, tempo del desiderio
tempo di nostalgia e ricordi
(paradiso lontano e impossibile!)
Avvento, tempo di solitudine
e tenerezza e speranza.
Oh, se sperassimo tutti insieme
tutti la stessa speranza
e intensamente
ferocemente sperassimo
sperassimo con le pietre
e gli alberi e il grano sotto la neve
e gridessimo con la carne e il sangue
con gli occhi e le mani e il sangue;
sperassimo con tutte le viscere
con tutta la mente e il cuore
Lui solo sperassimo;
oh se sperassimo tutti insieme
con tutte le cose
sperassimo Lui solamente
desiderio dell'intera creazione;
e sperassimo con tutti i disperati
con tutti i carcerati
come i minatori quando escono
dalle viscere della terra,
sperassimo con la forza cieca
del morente che non vuol morire,
come l'innocente dopo il processo
in attesa della sentenza,
oppure con il condannato
avanti il plotone d'esecuzione
sicuro che i fucili non spareranno;
se sperassimo come l'amante
che ha l'amore lontano
e tutti insieme sperassimo,
a un punto solo
tutta la terra uomini
e ogni essere vivente
sperasse con noi
e foreste e fiumi e oceani,
la terra fosse un solo
oceano di speranza
e la speranza avesse una voce sola
un boato come quello del mare,
e tutti i fanciulli e quanti
non hanno favella
per prodigio
a un punto convenuto
tutti insieme
affamati malati disperati,
e quanti non hanno fede
ma ugualmente abbiano speranza
e con noi gridassero
astri e pietre,
purché di nuovo un silenzio altissimo
- il silenzio delle origini -
prima fasci la terra intera
e la notte sia al suo vertice;
quando ormai ogni motore riposi
e sia ucciso ogni rumore
ogni parola uccisa
- finito questo vaniloquio! -
e un silenzio mai prima udito
anche il vento faccia silenzio
anche il mare abbia un attimo di silenzio,
un attimo che sarà la sospensione del mondo),
quando si farà questo
disperato silenzio
e stringerà il cuore della terra
e noi finalmente in quell'attimo dicessimo
quest'unica parola
perché delusi di ogni altra attesa
disperati di ogni altra speranza,
quando appunto così disperati
sperassimo e urlassimo
ma tutti insieme
e a quel punto convenuti
certi che non vale chiedere più nulla
ma solo quella cosa
allora appunto urlassimo
in nome di tutto il creato
(ma tutti insieme e a quel punto)
VIENI VIENI VIENI, Signore
vieni da qualunque parte del cielo
o degli abissi della terra
o dalle profondità di noi stessi
(ciò non importa) ma vieni,
urlassimo solo: VIENI!
Allora come il lampo guizza dall'oriente
fino all'occidente così sarà la sua venuta
e cavalcherà sulle nubi;
e il mare uscirà dai suoi confini
e il sole più non darà la sua luce
né la luna il suo chiarore
e le stelle cadranno fulminate
saranno scosse le potenze dei cieli.
E lo Spirito e la sposa dicano: Vieni!
e chi ascolta dica: vieni!
e chi ha sete venga
chi vuole attinga acqua di vita
per bagnarsi le labbra
e continuare a gridare: vieni!
Allora Egli non avrà neppure da dire
eccomi, vengo - perché già viene.
E così! Vieni Signore Gesù,
vieni nella nostra notte,
questa altissima notte
la lunga invincibile notte,
e questo silenzio del mondo
dove solo questa parola sia udita;
e neppure un fratello
conosce il volto del fratello
tanta è fitta la tenebra;
ma solo questa voce
quest'unica voce
questa sola voce si oda:
VIENI VIENI VIENI, Signore!
- Allora tutto si riaccenderà
alla sua luce
e il cielo di prima
e la terra di prima
son sono più
e non ci sarà più né lutto
né grido di dolore
perché le cose di prima passarono
e sarà tersa ogni lacrima dai nostri occhi
perché anche la morte non sarà più.
E una nuova città scenderà dal cielo
bella come una sposa
per la notte d'amore
(non più questi termitai
non più catene dolomitiche
di grattacieli
non più urli di sirene
non più guardie
a presiedere le porte
non più selve di ciminiere).
- Allora il nostro stesso desiderio
avrà bruciato tutte le cose di prima
e la terra arderà dentro un unico incendio
e anche i cieli bruceranno
in quest'unico incendio
e anche noi, gli uomini,
saremo in quest'unico incendio
e invece di incenerire usciremo
nuovi come zaffiri
e avremo occhi di topazio:
quando appunto Egli dirà
"ecco, già nuove sono fatte tutte le cose"
allora canteremo
allora ameremo
allora allora...
MARANATHA', VIENI SIGNORE GESU'!