Esame di coscienza di Padre Rupnik SJ

25.05.2016 01:44

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Libera, disponibile, generosa, che si apre: questa è la Chiesa per padre Marko Ivan Rupnik, il teologo gesuita, direttore del Centro Aletti, che stamani in Aula Paolo VI ha inaugurato con una meditazione il Giubileo della Curia Romana e delle Istituzioni collegate con la Santa Sede, al quale partecipano anche i dipendenti laici e i loro familiari. 

La nostra fede è “accoglienza di una vita” e questo è il compito della Chiesa: “manifestare di quale grazia, di quale bontà siamo stati destinatari”, cioè far vedere al mondo cosa Dio abbia fatto di noi, scorrendo “attraverso l’umanità”. È stata una meditazione sul senso della misericordia nella vita quotidiana quella che padre Rupnik ha tenuto in Aula Paolo VI, alla presenza del Papa, per il Giubileo della Curia Romana e delle Istituzioni collegate con la Santa Sede:

“In qualche modo, non la Curia Romana, ma ogni Curia rischia certamente la tentazione di acquisire un carattere un po’ para-statale, para-imperiale, come nel passato. Ed è una tentazione tremenda: perché questo mette nel cuore la funzione, la struttura, l’istituzione, l’individuo ‘che è in funzione di...’”.

Sarebbe uno “scandalo”, ha detto il padre gesuita, “far vedere al mondo che viviamo il Cristianesimo come una realtà individuale”: la Chiesa, ha aggiunto, si contraddistingue per “un modo di strutturarsi, di governare, di dirigere, di gestire” che è comunione, che è inclusione. “Dietro una Chiesa brava - ha osservato - non si incamminerà mai nessuno”, ma ciò avverrà di fronte a una “Chiesa bella”, che dentro i suoi gesti e le sue parole faccia “emergere un altro, il Figlio e, ancor più, il Padre”: così l’uomo potrà diventare “luogo della vita, come comunione e misericordia”:

“Com’è bello quando senti qualcuno che ha avuto a che fare con qualsiasi Curia e dice: sai, ho trovato delle persone libere, libere da se stesse, che si offrono, disponibili, generose, che aprono. Quante ce ne sono! E bisogna farle emergere”.

Questa è la missione della Chiesa:

Coprire la distanza tra noi e il nostro uomo contemporaneo, ferito come noi, dolente come noi, provato come noi: più saremo provati come tutti gli uomini, più saremo misericordiosi, perché questo è il sacerdozio di Cristo. È stato provato in tutto per essere sacerdote misericordioso. E così coinvolgeremo le persone in un desiderio di vita nuova”.

D’altra parte è il Signore “l’unico che può coprire la distanza che separa l’uomo perduto, peccatore, morto, da Dio vivente”. L’uomo, da solo, non può farlo: tale capacità di Dio di “raggiungerci” è la stessa identità di Dio “verso di noi e verso la Creazione, cioè la misericordia”. Passando in rassegna vari passi biblici, il teologo si è soffermato sul brano di Giovanni in cui Cristo si presenta come la vera vite e il Padre è il vignaiolo: la vita quotidiana diventa “il luogo” dove chi è stato raggiunto dalla misericordia la rivela, proprio “perché vive la vita che è comunione, cioè include l’altro”:

Se passa attraverso di noi questa vita di Dio, l’uomo è capace di portare il frutto che rimane, è capace di avvolgere il suo lavoro nell’amore che rimane in eterno, perché torna al Padre: ciò che l’uomo può rivelare è la sua divina umanità in Cristo”. 

Da RADIO VATICANA - servizio di Giada D'Aquino - In ogni curia persone libere da se stesse