Diventate come bambini
Filmato : Diventate come bambini
Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me» (Mt 18,2-5).
Ed ecco che cosa dice: «Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli»; se non rinunziate alla vostra logica mondana e non diventate semplici, non siete adatti per il regno dei cieli… Quale rivoluzione rispetto agli dèi pagani ricchi e potenti, rispetto al “dio” dei filosofi lontano e irraggiungibile, rispetto alle divinità orientali enigmatiche e disincarnate! Secondo Gesù, la conoscenza di Dio, il grande problema che assilla l’uomo di tutti i tempi e di tutte le culture, è possibile soltanto a chi vive in uno stato di infanzia spirituale, le cui caratteristiche principali sono quelle proprie del bambino, ossia la semplicità, l’innocenza, la totale dipendenza e lo spirito di fiducia. Il regno dei cieli è per quelli che diventano così.
L’infanzia come età cronologica con la sua spontanea gaiezza passa rapidamente; occorre acquisire un’infanzia spirituale che permanga, come ha detto Gesù stesso a Nicodemo: «In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio» (Gv 3,4). E Nicodemo, pieno di stupore, soggiunge: «Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?» (Gv 3,5). La nascita nuova è una purificazione della mente e del cuore, dei pensieri e dei sentimenti. Questo sarebbe stato impossibile all’uomo ferito dal peccato, ma Dio l’ha reso possibile inviando il suo Figlio. Egli non è venuto tra noi con potenza e con forza; è venuto come un bambino inerme e bisognoso del nostro aiuto, per toccare i nostri cuori. Con la sua piccolezza ci insegna ad amare la piccolezza; con la sua povertà ci aiuta a scoprire la vera ricchezza. «Egli, dice ancora il Santo Padre, chiede il nostro amore: perciò si fa bambino. Nient’altro vuole da noi se non il nostro amore, mediante il quale impariamo spontaneamente ad entrare nei suoi sentimenti, nel suo pensiero e nella sua volontà – impariamo a vivere con lui e a praticare con lui anche l’umiltà della rinuncia. Dio si è fatto piccolo affinché noi potessimo comprenderlo, accoglierlo, amarlo», seguirlo e imitarlo. Si fa a tal punto piccolo come noi e con noi da poter dire: «Chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me». L’identificazione con i bambini è piena, totale, come quella con i poveri, i carcerati, i malati, con tutti i reietti (cfr. Mt 25,31-46). Gesù si trova bene con i piccoli, con gli ultimi, perché c’è tra lui e loro sintonia di cuore: possono solo vivere di abbandono fiducioso e di speranza. Il vero cristiano, quando si trova a vivere in situazione di piccolezza, di marginalità, persino di disprezzo, non la avverte come un peso, come una “cattiva sorte”, ma, al contrario, ne sa trarre motivo di lieta esultanza, sa scoprire proprio lì la gioia di essere figlio di Dio, oggetto della divina benedizione: «In quello stesso istante Gesù esultò nello Spirito Santo e disse: “Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così a te è piaciuto» (Lc 10,21; cfr. Mt 11,25). Se il peccato di superbia, il voler essere autonomo e alla pari con Dio, è stato alle origini e continua a essere per l’uomo causa di morte, la via dell’umiltà lo apre invece ai più profondi misteri dell’amore, quelli che l’umana intelligenza da sola non può scandagliare. Molto significativa è, in proposito, la vicenda spirituale di una grande mistica del trecento, la monaca Geltrude di Helfta. Entrata in monastero in tenera età, riceve un’ottima educazione; è intelligente, apprende le lettere, la musica, le arti. Diventa una giovane brillante, educata, un “modello”: ma il suo cuore è triste, finché il Signore – che ella nel coro monastico pregava perfettamente, ma esteriormente ha pietà di lei. In una buia sera di gennaio, egli illumina il suo cuore e le fa percepire l’altissimo muro che la separa da lui. È l’ora della conversione. La scienza umana crolla davanti all’esperienza della misericordia: «Che cosa sono io, o mio Dio, amore del mio cuore? Come non rassomiglio a Te! Ecco, io sono come una infinitesima goccia della tua bontà e Tu sei il mare pieno di ogni dolcezza. O amore, dischiudi a me, così piccola, le viscere della tua bontà. Riversa su di me le cateratte della tua clementissima paternità. Fa’ zampillare su di me tutte le sorgenti dell’abisso della tua infinita misericordia. Immergimi nella profondità del tuo amore e nell’oceano della tua tenerezza». Proprio per questo Gesù è venuto nel mondo e si è fatto piccolo: per rivelare, nell’umiltà, l’amore del Padre, per donarci la gioia di sentirci creature piccole e povere, per renderci in lui figli di Dio e tra di noi fratelli. Non si tratta più delle maestose teofanie dell’Antico Testamento, ma di una presenza di bontà umile e semplice, di una consolazione e di un ristoro offerti nella fatica del vivere quotidiano: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime» (Mt 11,28-29). La stessa fatica diventa leggera quando è vissuta insieme con Gesù, inserita nel suo mistero di redenzione e sostenuta con la forza del suo amore: «Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero» (Mt 11, 30), perché è peso di amore. Così Egli ci insegna ad amare i piccoli. Da BENEDETTO XVI, Omelia della Notte di Natale 2006 : <<... ad amare i deboli. Ci insegna in questo modo il rispetto di fronte ai bambini. Il Bambino di Betlemme dirige il nostro sguardo verso tutti i bambini sofferenti ed abusati nel mondo, i nati come i non nati. Verso i bambini che, come soldati, vengono introdotti in un mondo di violenza; verso i bambini che devono mendicare; verso i bambini che soffrono la miseria e la fame; verso i bambini che non sperimentano nessun amore. In tutti loro è il Bambino di Betlemme che ci chiama in causa; ci chiama in causa il Dio che si è fatto piccolo.>> Il cuore del Padre celeste si commuove davanti al mistero della piccolezza: posa lo sguardo sui piccoli, paragona il suo stesso Regno al più piccolo dei semi, a un pugnetto di lievito… Nel disegno di Dio tutto incomincia con la piccolezza e procede nell’umiltà. È il suo stile inconfondibile.
Prendiamo come esempio Maria, la donna attraverso la quale il Figlio di Dio è entrato nel mondo. Piccola e umile, di lei il Signore si è compiaciuto; su di lei ha posato il suo sguardo di predilezione: ha guardato “la sua piccolezza”, il suo “essere terra” e l’ha resa giardino fiorito, campo di grano che, come ha scritto santa Caterina, ha procurato la farina per il Pane disceso dal cielo. Ella, perciò, ci può veramente insegnare ad accogliere Gesù, a vivere questa pagina evangelica in cui il Signore ci chiede di ritornare bambini, con quello sguardo puro che non giudica dalle apparenze, ma sa scorgere i tesori nascosti in ogni creatura, anche nella più povera… Perché è lì che nasce e cresce il regno di Dio, il regno della pace. Esso non è fuori di noi; non deve essere instaurato dall’esterno con potenza, come pensavano gli stessi apostoli prima di essere potentemente ricolmati del dono dello Spirito Santo. Il regno di Dio deve cominciare a crescere dentro di noi per irradiarsi al di fuori di noi come amore diffusivo. È davvero un seme: il seme della fede che cresce nella terra dell’umiltà vera.
Dio ama “giocare” con i bambini, con la piccolezza. Anche la struttura dell’universo lo dimostra. Gli scienziati scandagliano i segreti del cosmo e scoprono particelle sempre più piccole, dotate di un incalcolabile potenziale di energia, ma non giungono mai a “comprendere” il mistero della vita. Si giunge, invece, a stupirsi, a rimanere in silenziosa contemplazione: «Se cercate Dio, dice un bel verso di Gibran, guardatevi intorno: lo vedrete sorridere nei fiori e negli occhi dei bambini». Con il desiderio che il fascino dell’infanzia rifiorisca in tanti cuori profanati, suscitando la nostalgia della purezza e il più delicato rispetto verso i bambini, anche verso quel bambino che ancora sopravvive, nascosto, in ciascuno di noi, umilmente preghiamo: