Deserto strada della salvezza anche oggi

02.04.2014 23:21

Il deserto è la prima scelta ambientale di Dio per incontrarsi con l’uomo, rivelarsi a lui, sancire con lui il patto dell'alleanza.

 

Da Padre Renato Zillo : “Vai, che sarà bellissima!”, mi fa Jean-Pierre, priore dei monaci di Tibhirine, sicuro di sé. Sarà vero. L’esperienza di una settimana nel deserto, in pieno Sahara, nella casba di Ibrahim, grande amico del monastero, sarà indimenticabile. «È per pregare Dio», mi raccomanda di dire loro, al telefono. Formula magica. Dopo ore su un bus sgangherato fino a Erfoud, ai bordi del deserto, mi vengono a prendere come una baraka, una benedizione. E dopo circa una trentina di chilometri sulla sabbia, eccomi in una splendida casba. Mi accompagnano nella stanza più bella, tranquillissima, con tappeti e cuscini in ogni dove, perfino nella sala da bagno. «Tutto per facilitare la vostra preghiera», sostengono convinti. Sei immerso in un paesaggio grandioso, che ti spoglia e ti riempie, allo stesso tempo. E ti fa camminare, nudo della tua umanità, in mezzo a un universo minerale spettacolare. Vastissimo ed emozionante. È il mondo prima della nascita dell’uomo: il Sahara.

Camminare è sentire solo il rumore dei tuoi passi sotto un cielo immenso. Una calotta gigantesca ti sovrasta da un capo all’altro della terra. Un amplissimo orizzonte ti dà il senso di uno spazio e una libertà infiniti. Il deserto ti lavora come uomo cosmico, autentico, spoglio delle sue inutilità. Solo un po’ d’acqua e la Bibbia. Torno a casa solo al tramonto. Camminare è apertura al mondo: invita all’umiltà, a cogliere avidamente l’istante e lo spazio attraverso il corpo. Avanzare, così, traccia un cammino non solo nello spazio, ma dentro di sé. Mentre il deserto pulisce e affina l’anima come una lima. Ti dà la nozione di immensità, del tempo e dell’eternità.

Il deserto fa emergere tutti i tuoi idoli e ti illumina sul senso vero di idolo e del suo contrario, l’icona. Comprendi come l’idolo concentra tutte le forze, l’attenzione, il potere: è autoreferenziale, per eccellenza. L’icona, al contrario, rinvia ad altro, a qualcosa di più grande. Non è che un raggio della luce del Divino. E, così, ti fai idolo quando vivi un protagonismo eccessivo o un attivismo esagerato. Ti metti al centro dell’ammirazione o dell’attività. Ci si arroga ogni forza, ci si identifica quasi con Dio. Mentre in un uomo che sa farsi icona avverti una profondità, quasi una tridimensionalità che impressiona: lui, te e Dio accanto a lui. Ha una visione davanti a sé, vede il mondo che sarà domani, sa captare il futuro che sta nascendo. E sa diventare una forza mobilizzatrice per sé e per gli altri. Essere icona è parlare di qualcosa di più grande e di più bello che trascende... Accentrare in te è invece farsi idolo.

Dopo ore di cammino, incontro dei bambini berberi. Si trovano proprio sul costone di un promontorio, da cui mi guardavano lungamente. Nomadi. Dietro di loro, ora intravedo un accampamento poverissimo, qualche capra, nere tende berbere sparse disordinatamente... Così crescono questi abitanti: in una mano tengono la miseria quotidiana e nell’altra, dono di Allah, una visione del mondo che ti toglie il respiro. Straordinaria bellezza! E penso quanto sia importante educare i nostri giovani a visioni grandiose, radicali e coraggiose: solo così sapranno portare le difficoltà, le sorprese o le contraddizioni di un’esistenza. A fine settimana ritorno al monastero. Dopo il canto finale, chiudo il libro, sul retro della copertina appaiono cinque grandi, brevi frasi: è il senso dell’invio, uscendo da questa chiesa monastica di trappisti. Siate umili. Restate disponibili. Siate gioiosi. Prendete il tempo. Pregate insieme. Pare un piccolo testamento della spiritualità di questi monaci cristiani in terra d’islam. Null’altro il mondo si attende, per vivere. 

Sempre da Aleteia  Il tema del deserto é vasta quanta la storia sacra    Da  Anna Maria Canopi, osb  

Il tema del deserto è vasto quanto la storia sacra. Non vi sono parole per esaurirlo. È una realtà che si lascia conoscere solo sperimentalmente. Chi poi la vive, sa di non avere parole per dirne il sapore e la misura.

Il deserto è la prima scelta ambientale di Dio per incontrarsi con l’uomo, rivelarsi a lui, sancire con lui il patto dell'alleanza. Ma non è tanto un luogo fisico quanto una realtà, una dimensione interiore, dello spirito. E' la strada della salvezza. Chi cerca Dio deve passare di lì.

A questo, appunto, ci invita la liturgia del tempo quaresimale, presentandosi come un itinerario interiore di ritorno a Dio e di ricerca del suo volto, nella purità del cuore.

1. La Quaresima come itinerario nel deserto

La colletta del mercoledì delle ceneri così si esprime:

Concedi, Signore, al popolo cristiano, di iniziare con questo digiuno un cammino di vera conversione, per affrontare vittoriosamente con le armi della penitenza il combattimento contro lo spirito del male.

L’orazione per l’imposizione delle ceneri torna a chiedere la benedizione divina per poter «giungere completamente rinnovati, attraverso l’itinerario spirituale della quaresima, a celebrare la Pasqua» del Signore.

Anche nella preghiera dopo la Comunione si afferma che il sacramento del corpo e del sangue del Signore è ricevuto come viatico, come sostentamento «nel cammino quaresimale».

Così nelle messe dei giorni successivi ricorre insistente l’invocazione al Padre perché si degni di accompagnare con il suo sguardo di bontà «i primi passi del nostro cammino penitenziale», in vista di «profondo rinnovamento dello spirito» (cfr colletta del venerdì dopo le ceneri).

Ma ancor più espressamente la grande liturgia della prima domenica di Quaresima proclama quale «segno sacramentale della nostra conversione» (colletta) il segno biblico dei quaranta giorni nel deserto, «tempo favorevole per la salvezza» (sulle offerte), santificato dalla penitenza di Cristo stesso (cfr prefazio I della Quaresima: «tempo di rinnovamento spirituale»).

E poiché la condizione del deserto è la fame e la sete di Dio, ecco che cosa ci fa chiedere la preghiera dopo la Comunione:

Il pane del cielo che ci hai dato, Signore, alimenti in noi la fede, accresca la speranza, rafforzi la carità, e ci insegni ad avere Fame di Cristo, pane vivo e vero, e a nutrirci di ogni parola che esce dalla tua bocca.

Giustamente un monaco dei tempi passati scriveva: «Il deserto è per coloro che hanno sete di Dio» (Bonifacio di Fulda). Per chi ha sete di Dio unica possibilità di dissetarsi è di bere alla Roccia che è Cristo stesso – la Roccia trovata nel deserto (cfr Es17,6; Num 20,8; Sal 17,3; 1 Cor 10,4). Bere al Cristo significa attingere alla sua grazia, abbeverarsi al suo Spirito (cfr 1 Cor 10,4), conoscere più profondamente il suo mistero, crescere in tale conoscenza fino alla pienezza della comunione vitale con lui e – tramite lui – con il Padre (cfr colletta della prima domenica di quaresima).

2. Il deserto ha il volto del Cristo

Il discorso vero sul deserto quale dimensione spirituale del cristiano parte, quindi, necessariamente da questa esigenza, da questa chiamata a vivere più in profondità il mistero di Gesù Cristo, parola vivente del Padre. Se infatti il deserto è la strada scelta da Dio per la liberazione del suo popolo, sappiamo anche che Gesù Cristo si è definito strada unica per incontrare il Padre; e inoltre si è chiamato il vero pane del deserto.

Ecco allora la meraviglia: per il cristiano il deserto ha il volto del Cristo, ha il sapore del Cristo. La solitudine è piena del Cristo che in essa si è affondato.