Audiovisivi Genesi

28.01.2015 16:58

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LA  BIBBIA

IL LIBRO DELLA GENESI del vescovo Martino Scarafile

 PRESENTAZIONE

Questo modesto lavoro che offro come riflessione alla Comunità Mottolese nasce in primo luogo dalla gioia di comunicare la meravigliosa storia di Dio che “cerca” l’uomo per rivelargli la sua amicizia: ...ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita,noi lo annunziamo a voi...” (1 Gv. 1, 1-4). In secondo luogo dall’esigenza di ripresentare alcune verità della fede cristiana, messe continuamente in discussione da “dottrine peregrine” che cercano di sviare e confondere il cammino di fede del cristiano. Infine dalla convinzione che “l’ignoranza delle Sacre Scritture è ignoranza di Dio stesso”.

 INTRODUZIONE

La Bibbia narra la storia dell’amicizia tra Dio e l’uomo, iniziata con la creazione del mondo e dell’uomo, un’amicizia a cui Dio, anche quando l’uomo con il peccato originale l’ha tradita, non è mai venuto meno. Dio sceglie di rivelarsi, di manifestare il suo amore attraverso la “parola”, proprio perché questa è lo strumento principale con cui gli esseri umani, a differenza di tutti gli altri esseri creati, comunicano se stessi. E’ mediante la parola che noi possiamo trasmettere agli altri i nostri pensieri, esprimere le nostre ansie, comunicare i nostri sentimenti. Dio si è voluto servire, quindi, dello strumento più usato dall’uomo, la parola, per comunicare Se stesso, il suo amore, la sua intimità. La parola di Dio è l’espressione di una potenza che continuamente crea. E’ significativo che le prime due parole con cui ha inizio la Bibbia siano proprio: “Dio disse (Gen. 1,1). La parola di Dio “è stabile come il cielo”; “nel rivelarsi illumina”; essa “è dolce al mio palato”: sono solo alcune delle espressioni con cui il Salmo 119, un inno alla Rivelazione divina, descrive la parola di Dio. E’ una parola, quella di Dio, che raggiunge ogni uomo e lo provoca a una risposta. Dio, infatti, cerca continuamente il dialogo, il confronto, proprio come un amico che non si arrende mai, anche quando il colloquio si fa impegnativo e difficile. La parola di Dio è “parola di verità” (2 Sam. 7,28), che in Gesù Cristo, figlio unigenito di Dio, si è fatta carne” ed è venuta ad abitare in mezzo a noi. Cristo rende presente e operante tutta intera la storia della salvezza iniziata dal Padre con la creazione del mondo, portata avanti con il messaggio profetico e sapienziale. Una storia della salvezza, che con la venuta di Cristo giunge al suo compimento. Gesù, quindi, è la Parola di Dio definitiva e irripetibile.

 

 LA CREAZIONE

 LA  RIVELAZIONE

Il Vat. II al n.2 della “DEI VERBUM” chiarisce il significato di Rivelazione in questi termini: “Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare Se stesso e manifestare il mistero della sua volontà, mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo hanno accesso al Padre e sono resi partecipi dalla divina natura. Con questa Rivelazione, infatti, Dio invisibile nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici e s’intrattiene con loro, per invitarli e ammetterli alla comunione con Se. Quest’economia della Rivelazione avviene con eventi e parole intimamente connessi, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzanola dottrina e le realtà significate dalle parole, e le parole dichiarano le opere e chiariscono il mistero in loro contenute.

La profonda verità, poi, sia di Dio sia della salvezza degli uomini, per mezzo di questa Rivelazione risplende a noi in Cristo, il quale è insieme il mediatore e la pienezza di tutta intera la Rivelazione”.

Questa Rivelazione, non è avvenuta una volta e per sempre, ma Dio si comunica gradualmente all’uomo (c’è una particolare “pedagogia divina”), lo prepara per tappe a ricevere la Rivelazione soprannaturale che Egli fa di Se stesso e che culmina nella persona e nella missione del Verbo incarnato, Gesù Cristo.

Dio ha rivelato tutto in Gesù Cristo, quindi non c’è da aspettarsi alcuna nuova rivelazione pubblica prima della manifestazione  gloriosa del Signore alla fine dei tempi; tuttavia anche se la Rivelazione è compiuta, non è però completamente esplicitata: toccherà alla fede cristiana coglierne gradualmente tutta la portata nel corso dei secoli.

La Rivelazione divina contiene tre elementi intimamente connessi:

a) La Sacra Scrittura: è la Parola di Dio messa per iscritto sotto l’ispirazione dello Spirito   Santo.

b) La Tradizione: viene dagli Apostoli e trasmette ciò che costoro hanno ricevuto dall’insegnamento e dall’esempio di Gesù e ciò che hanno appreso dallo Spirito Santo.

c) Il Magistero: ha il compito di interpretare autenticamente la Parola di Dio scritta o trasmessa.

Il Magistero però non è al di sopra della Parola di Dio, ma la serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso, e da questo unico deposito della fede attinge tutto ciò che propone di credere come rivelato da Dio.

 L’ISPIRAZIONE

La “DEI VERBUM” al numero 11 spiega cos’è l’Ispirazione: “Le verità divinamente rivelate, che nei libri della Sacra Scrittura sono contenute ed espresse, furono scritte per ispirazione dello Spirito Santo. La Santa Madre Chiesa, per fede apostolica, ritiene sacri e canonici tutti interi i Libri sia dell’Antico Testamento che del Nuovo Testamento, con tutte le loro parti, perché scritti per ispirazione dello Spirito Santo, hanno Dio per autore e come tale sono stati consegnati alla Chiesa.

Per la composizione dei Libri Sacri, Dio scelse e si servì di uomini nel possesso delle loro facoltà e capacità, affinché, agendo Egli in essi e per loro mezzo, scrivessero, come veri autori tutte e soltanto quelle cose che Egli voleva fossero scritte.

Poiché dunque tutto ciò che gli autori ispirati o agiografi asseriscono, è da ritenersi asserito dallo Spirito Santo, è da ritenersi anche, per conseguenza, che i Libri della Scrittura insegnano con certezza, fedelmente e senza errore, la verità che Dio, per la nostra salvezza volle fosse consegnato nelle Sacre Lettere. Pertanto “ogni Scrittura divinamente ispirata è anche utile per insegnare, per convincere, per correggere, per educare alla giustizia, affinché l’uomo di Dio sia perfetto, addestrato a ogni opera buona” (2 Tim. 3, 16-17).

 

                           LA FORMAZIONE DELLA BIBBIA

 

Ogni tradizione religiosa vive in genere due forme intrecciate tra loro: una trasmissione orale, spontanea, vitale e di una successiva codificazione scritta.

Un popolo ai suoi inizi, proprio come un bambino, non comincia la sua storia scrivendo libri, prima vive, poi, fatta esperienza, scrive per ricordare e far ricordare alle nuove generazioni ciò che ha vissuto.

Anche il Popolo d’Israele, prima ha vissuto una Storia, poi ha cominciato a trasmettere il ricordo di padre in figlio (tradizione orale) e infine ha anche fissato tale storia in una memoria scritta.

E’ nata così la Bibbia; ma essa non è stata scritta tutta nello stesso periodo di tempo: il Libro più antico (forse quello del Profeta Amos) è del 750 a.C. l’ultimo del N.T. è l’Apocalisse di S. Giovanni, composta circa nell’anno 100 d.C.

La redazione dei vari Libri biblici, si scagliona tra queste due date, cioè in un periodo di oltre otto secoli. Pertanto la Bibbia non è stata scritta da un solo autore, ma moltissimi sono stati gli autori diretti, che però si sono avvalsi di precedenti tradizioni orali.

La Bibbia non contiene solo narrazioni di eventi storici (Esodo, Atti degli Apostoli) ma  anche raccolte di leggi sociali e morali (Levitico, Deuteronomio), esortazioni e invettive (Profeti), preghiere  (Salmi), lettere (di Paolo e altri), descrizioni fantastiche   (Daniele, Apocalisse), poemi e proverbi.

 L’INTERPRETAZIONE

La “Dei  verbum” al n. 12 ci indica la strada che dobbiamo percorrere per inoltrarci, senza sbagliare, nello studio della Bibbia.

Poiché Dio nella Sacra Scrittura ha parlato per mezzo di uomini e alla maniera umana, l’interprete della Sacra Scrittura, per capire bene ciò che Egli ha voluto comunicarci, deve ricercare con attenzione, che cosa gli agiografi in realtà abbiano inteso significare e a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole.

Per ricavare l’intenzione degli agiografi si deve tener conto tra l’altro anche dei “generi letterari”. La verità infatti viene diversamente proposta ed espressa nei testi in varia maniera: storica, profetica, poetica o con altri modi di dire. E’ necessario dunque che l’interprete ricerchi il senso che l’agiografo intese esprimere ed espresse in determinate circostanze, secondo la condizione del suo tempo e della sua cultura, per mezzo dei generi letterari allora in uso. Per comprendere, infatti, nel loro giusto valore ciò che l’autore sacro volle asserire nello scrivere, si deve fare debita attenzione sia agli abituali e originari modi di intendere, sia a quelli che allora erano in uso nei rapporti umani.

Però dovendo la Sacra Scrittura essere letta e interpretata con l’aiuto dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta, per ricavare con esattezza il senso dei sacri testi, si deve badare con non minore diligenza al contenuto e alle unità di tutta la Scrittura, tenuto debito conto della viva Tradizione di tutta la Chiesa e dell’analogia della fede. E’ compito degli esegeti contribuire secondo queste norme alla più profonda intelligenza ed esposizione del senso della Sacra Scrittura, fornendo i dati previi, dai quali si maturi il giudizio della Chiesa. Quanto, infatti, è stato qui detto sul modo di interpretare la Scrittura, è sottoposto in ultima istanza al giudizio della Chiesa, la quale adempie il divino mandato e ministero di conservare e interpretare la parola di Dio”

Da questa chiara esposizione del Concilio emerge una triplice traccia di approfondimento, che ci fa giungere proprio al cuore della Bibbia  e cioè: “ i generi letterari”,  “i sensi della Bibbia”, “la lingua”.

 I GENERI LETTERARI

Sono modi attraverso cui si esprime una lingua. Nella Bibbia, infatti, vi sono molteplici forme letterarie; ciò dipende dalla diversità degli autori, dalla materia trattata, dal pubblico a cui si rivolge l’autore sacro, dal temperamento, dalla cultura, dalla mentalità degli agiografi.

Ecco come gli esegeti classificano i generi letterari presenti nell’Antico Testamento:

POESIA POPOLARE: ne sono esempi: il cantico del lavoro (Num. 21, 17-18); il cantico d’amore (Cantico dei Cantici); il cantico del custode (Isaia 21, 11-12); la satira (Isaia 23, 15-16); il cantico della vittoria (Esodo 15); la favola (Giudici 9); le benedizioni e le maledizioni (Gen. 49); i proverbi (1 Sam. 10, 12); gli enigmi (Giudici 14,14).

 PROSA UFFICIALE:  ne fanno parte: il fatto (Deut. 5); il simbolo di fede (Deut. 26); le leggi e le prescrizioni in genere, l’istruzione o la Torà (Lev. 1-8); la guerra sacra (Deut. 20); la lettera (Esdra 4-6).

NARRAZIONI:  a questo genere appartengono: il mito (Isaia 14); la fiaba (Num.22); la leggenda (Gen. 28, 10-22); annali e cronache di corte (Re); l’aneddoto, le memorie (Neemia); notizie autobiografiche (Ger. 20); storiografie   (Samuele); narrazione fittizia (Tobia, Ester).

LETTERATURA PROFETICA: comprende la forma dell’oracolo (oracolo di salvezza, oracolo contro i popoli); la visione (Amos 7-8); il sogno (Ger. 23, 31-32), le unità escatologiche (Isaia 34-35); l’apocalisse (Daniele).

GENERI SAPIENZIALI:  proverbi, sentenze, detti popolari.                           

 

Il genere letterario non differisce solo da libro a libro, ma all’interno degli stessi libri coesistono diversi generi: segno evidente che questi Libri sono stati scritti in un lungo periodo e da più autori o che sono raccolte di testi eterogenei. Solo due esempi:

Genesi  1-11 parla dell’origine del mondo e dell’umanità, del diluvio universale: il genere letterario è quello poetico-mitologico e poetico-liturgico; mentre Genesi 12- 50 che parla della storia dei Patriarchi (Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuseppe), si avvale, tra l’altro della genealogia, della narrazione epica, della leggenda, del racconto popolare e aneddotico.

I Salmi presentano una gamma vastissima di espressioni: ci sono inni, suppliche, lamenti individuali e collettivi, preghiere di lode e di ringraziamento, salmi regali o celebrativi, salmi didattici a loro volta distinti in sapienziali, storici, liturgici, ecc...Ecco una breve scheda su ciascuno dei principali generi letterari, con l’indicazione di brani biblici da leggere come esempio.

 

LA STORIA: all’origine dei “Libri storici” (come Samuele, Re, Neemia, Maccabei, Atti degli Apostoli), ci sono certamente degli avvenimenti di cui il popolo (o almeno qualche tribù) ha conservato memoria per via di tradizione orale. Il modo di riferire sull’avvenimento può limitarsi a una semplice evocazione dei fatti e della loro data, ma può ampliarsi nella “biografia” di tale o tal altro protagonista, o può perfino tentare di interpretare gli avvenimenti, caricandoli di un significato che supera la materialità dei fatti constatati. In genere, l’autore biblico non racconta dei fatti tanto per riportare la cronaca del tempo, ma piuttosto per trasmettere il significato umano, la “lezione” di tali fatti per il popolo. Gli storiografi della Bibbia, in ossequio anche alle consegne dei Profeti e Sacerdoti, selezionano tra gli eventi nazionali, quelli che meglio soddisfano i loro intenti cultuali e morali, senza preoccuparsi troppo di servirsi degli annali di corte. In pratica, la storia ha un senso, perché Dio attraverso il tempo e gli avvenimenti umani, persegue il suo progetto di alleanza col popolo eletto: questa è la convinzione di base degli storiografi biblici.

 

L’EPOPEA: l’Odissea in Grecia, l’Eneide a Roma, sono esempi a tutti noti, del genere letterario “epico”. A partire da un nucleo storico accertato o presupposto, si amplifica in modo enfatico, volutamente, una vicenda che trascende e trasfigura il reale, di modo che l’avvenimento o il personaggio-chiave (cioè l’eroe che impersona la stirpe, la razza, la nazione)si imprimono più vivamente nella memoria collettiva del popolo e lo stimolano a riconoscersi unito e concorde attorno ai “padri della patria”, nel rispetto delle proprie comuni origini, nell’accettazione di una vocazione o di un destino storico che coinvolge la collettività. Nella Bibbia (A.T.), sono narrate sotto questa forma letteraria le vicende dei Patriarchi (Gen. 19-50), di Mosè (Esodo), della conquista della terra promessa (Giosuè, Giudici). In particolare l’Esodo è chiaramente costruito sullo stile epico: Mosè salvato dal Nilo e poi alle prese col faraone, le piaghe d’Egitto, le Tavole della Legge sul Sinai, i prodigi e i simboli (fuoco, nube, manna), durante la lunga marcia nel deserto... Un’idea fondamentale sta alla base di tutta questa narrazione epica: Jahwé ha scelto Israele per farne il suo Popolo, ha stabilito un’alleanza con lui, l’ha salvato “con mano forte e braccio teso” gli ha dato una legge, gli ha promesso una terra, ed è ancora per intervento di Jahwé che Israele la potrà finalmente conquistare.

 

LA PROFEZIA: in tutto l’antico Oriente esistevano uomini che esercitavano l’arte divinatoria (la capacità, presunta o meno, di conoscere gli eventi futuri), ma i Profeti-scrittori di Israele svilupparono un genere letterario originale, anche rispetto agli altri libri biblici. Generalmente si pensa che il Profeta sia una persona che predice il futuro. In realtà, questa parola di origine greca indica nella letteratura ebraica: uno che parla in nome di Dio, che serve da porta-parola di Jahwé, che fa da intermediario tra Dio e il popolo. Isaia, Geremia, Ezechiele e i Profeti “minori” rappresentano questo genere letterario attraverso forme espressive diverse: brevi indirizzi al popolo di tono esortativo, per invitarlo alla conversione, per far riflettere sul passato d’Israele e ricondurlo sulla retta via, per purificare una religione in cui i doveri sociali abbiano la precedenza sul culto ritual;: brevi invettive indirizzate a una città, a una nazione, a una generazione, dal tono diretto e minaccioso, per provocare una benefica reazione di ravvedimento più che per condannare; interpretazioni moralistiche di eventi naturali o politici, prima preannunciati e poi “spiegati” come elementi provvidenziali del Dio d’Israele.

 

LA POESIA: sono presenti nella Bibbia tutti i generi poetici in uso tra i popoli dell’antico vicino Oriente, e sono presenti lungo tutto l’arco degli oltre dieci secoli di letteratura biblica, che va dalle stupende Odi di Giudici del cap. 5, o del Salmo 29, fino alla finissima lirica del Cantico dei Cantici, fino a raggiungere quegli scritti di “letteratura minore” che sono i Vangeli, nati in piena epoca imperiale romana. La poesia biblica si distingue stilisticamente dalla prosa per la scelta di forme verbali ricercate, per la ricorrenza studiata di certe locuzioni, ma soprattutto per il parallelismo, costituito da versi che si ripetono completando o variando la stessa idea. Ad esempio: “ mi avvolgono flutti mortali/ mi inondano torrenti rovinosi/ mi stringono le funi degli inferi/ mi incombono i lacci di morte” (Salmo 18, 5-6)

E’ poesia là dove si creano simboli (Giona), là dove si presentano voce e lacrime a un popolo disfatto (Lamentazioni di Geremia), là dove si loda Dio nelle sue creature e si contemplano le creature specchio del Creatore  (Salmi), là dove il profeta scongiura una generazione a voltare le spalle agli idoli o quando piange con gli esiliati, sognando con struggente nostalgia il ritorno alla propria terra (Profeti e Salmi).

 

L’APOCALISSE: dal suo significato etimologico, che è “rivelazione“, la parola “apocalisse” è diventata oggi, abusivamente, sinonimo di disastro, di catastrofe, di fine del mondo. Le apocalissi della letteratura ebraica (ad esempio Daniele) e l’Apocalisse del N.T. contengono anche descrizioni di fenomeni terrificanti, ma la loro interpretazione è tutt’altro che intimidatoria o spettacolare. E’ una letteratura tipica del tempo di miseria e di persecuzione. Il suo messaggio è questo: per quanto triste possa essere la condizione attuale del singolo o del Popolo, Dio prepara un futuro in cui la giustizia trionferà.

Questo genere letterario è affine a quello profetico, con la differenza che nei profeti, la forza del discorso proviene dalla convinzione interiore, mentre nelle apocalissi tutto è visione e simboli; i profeti parlano ai contemporanei di problemi attuali o imminenti, gli apocalittici sembrano non aver destinatari precisi, parlano fuori del tempo e della storia.

In una parola, le apocalissi, sembrano “rivelare” una sola parola: la disgrazia, il dolore, la disperazione non avranno il sopravvento che per un tempo limitato perché all’interno stesso delle presenti rovine, Dio sta preparando certamente “ cieli nuovi e terra nuova”.

 I SENSI DELLA BIBBIA

Secondo un’antica Tradizione (ripresa dal Catechismo della Chiesa Cattolica), si possono distinguere due sensi della Sacra Scrittura: il senso letterale e quello spirituale; quest’ultimo è suddiviso in : senso morale, anagogico e allegorico.

Il senso letterale: è “ciò che gli autori sacri hanno realmente inteso significare” (Dei Verbum n. 12), E’ quello significato dalle parole della Scrittura e trovato attraverso l’esegesi che segue le regole della retta interpretazione (cioè i generi letterari).

Il senso letterale si divide a sua volta in:

Senso letterale proprio: si verifica quando le parole vengono utilizzate dall’agiografo nel loro significato proprio; per esempio: “Gesù si diresse verso il Mare di Galilea” (Mt. 15, 29).

Senso letterale traslato: si ha quando le parole vengono intese dallo scrittore in senso figurato, per esempio: “Poiché mi rallegri, Signore, con le tue meraviglie, esulto per l’opera delle tue mani” (Salmo 92, 5); dove è evidente che la parola “mani” non indica la parte terminale del braccio, ma la potenza misericordiosa di Dio.

A volte il senso traslato riguarda una sola parola, in questo caso abbiamo la “metafora”, altre volte un intero discorso, come nel caso della “ parabola”.

Il senso spirituale: rivela il significato soggettivo per la fede del credente; è ciò che Dio ha voluto dire attraverso l’agiografo. Il senso spirituale è contenuto nel senso letterale, ma lo supera, poiché si ricollega con il disegno salvifico di Dio, autore primario della Bibbia, e può essere studiato solo alla luce di una rivelazione ulteriore.

L’esistenza del senso spirituale ci induce, perciò, a riconoscere nelle Bibbia una profonda unità, determinata dal fatto che tutta la Rivelazione ha come centro la figura di Cristo, attraverso il quale si orienta tutto l’insegnamento biblico.

Il senso morale: gli avvenimenti narrati nella Scrittura possono condurci ad agire rettamente “Sono stati scritti per ammonimento nostro” (1 Cor. 10,11).

Il senso anagogico: permette di leggere gli eventi narrati, come segni anticipatori di avvenimenti futuri, che ci conducono (in greco “anagoghè”) verso la nostra Patria. Così la Chiesa sulla terra è segno della Gerusalemme celeste.

Il senso allegorico: possiamo giungere ad una comprensione più profonda degli avvenimenti se riconosciamo il loro significato in Cristo; così la traversata del Mar Rosso è un segno della vittoria di Cristo,come avviene anche nel Battesimo.

 

In conclusione occorre ricordare che l’interpretazione della Bibbia è un compito inesauribile, perché essendo Parola di Dio che interpella l’uomo, manifesta il Suo mistero che è appunto inesauribile, e chiede all’uomo la comprensione del suo valore e la sua attualizzazione nella vita personale e comunitaria. Ciò significa che alle passate interpretazioni si aggiungerà sempre lo sforzo di calare il messaggio biblici nelle situazioni nuove della vita umana.

 LA LINGUA

La Bibbia non è stata scritta in una sola lingua, ma in tre lingue differenti, che servirono agli autori ispirati per scrivere i testi originali della Sacra Scrittura: l’ebraicol’aramaico e il greco; e alla fine del IV sec. d.C. in latino, da S. Girolamo.

L’ebraico: è una lingua semitica (dal nome di Sem, figlio di Noè). Era parlato dagli Israeliti fino a qualche secolo dopo l’esilio babilonese (IV sec. a.C,); poi fu usato solo nelle preghiere e nelle composizioni letterarie. Risuscitato e adattato alle esigenze della civiltà moderna, è ora usato correttamente nello Stato d’Israele.

L’aramaico: (da Aram: la regione che poi si chiamò Siria), divenne comunemente la lingua parlata dai giudei di Palestina al tempo di Gesù. Alcune parole “ebraiche” riportate dai Vangeli sono in realtà “aramaiche”: “Messia”, “Pascha”, “Golgota”, “Talitha Kum”, ecc...

Il greco: fu diffuso in Oriente dalle conquiste di Alessandro Magno (dal 333 al 323 a.C.) e divenne la lingua delle persone colte. La prima traduzione in greco dell’Antico Testamento è chiamata  la “Bibbia dei Settanta”; il suo nome è legato a una lettera dello Pseudo Aristea (del II sec. a.C.), secondo la quale il Re d’Egitto Tolomeo Filadelfo (285-247 a.C.), desiderando arricchire la celebre biblioteca di Alessandria con un esemplare della legge mosaica, radunò nella città “Settanta” dotti ebrei provenienti da Gerusalemme, i quali tradussero in altrettanti giorni (“Settanta”) tutto l’Antico Testamento.

Certamente si tratta di una leggenda, ma sembra accertato che a partire dalla metà del III sec. a.C. (proprio al tempo di Tolomeo) sia cominciata una traduzione d’équipe in greco dell’A.T., per soddisfare le esigenze dei numerosi ebrei della “diaspora” (dell’esilio), che non parlavano più l’ebraico. Il Nuovo Testamento fu scritto interamente in greco. Sappiamo però, che la prima redazione del Vangelo di Matteo, fu in ebraico (o aramaico); ma a noi è arrivata solo la redazione in greco.

Il latino: nel tempo cristiano, ci furono diverse traduzioni latine della Bibbia, compreso il Nuovo Testamento. La più famosa è quella di S. Girolamo (347-420), alla fine del IV sec. d. C. Questa traduzione comprende tutti i Libri biblici ed è scritta in un latino elegante, che non traduce letteralmente gli originali, ma si preoccupa di renderne il senso. Essa fu dichiarata autentica, cioè autorevole sul piano dottrinale, dal Concilio di Trento (1563). Per il suo carattere divulgativo tra il popolo, questa traduzione è detta “Volgata”, cioè “divulgata”.

Tra le numerose traduzioni in italiano, oggi esistenti, c’è la Bibbia di Gerusalemme e quella della CEI (Conferenza Episcopale Italiana).

 ROTOLI, PAPIRI E CODICI

I libri antichi avevano forma di rotoli. Si scriveva a colonne su larghe pagine, fatte di cuoio sottile; queste pagine si cucivano l’una di seguito all’altra e si arrotolavano attorno a un bastone. Così sono i “rotoli” del I sec. a. C. e d. C. scoperti negli anni 1947-1950 a Qùmran (le grotte presso il Mar Morto); così sono i “rotoli” del Pentateuco usati nelle Sinagoghe.

Invece del cuoio si usava anche il “papiro”, che gli Egiziani preparavano dal fusto della pianta paludosa detta appunto “papiro”. I Libri del Nuovo testamento furono scritti in origine probabilmente su papiro.

Papiri del N.T. che risalgono fino ai secoli II e III d. C. furono trovati in Egitto, dove il clima secco li ha preservati dalla distruzione.

Ma le Chiese cristiane preferiscono una nuova forma di libro e cioè il “codice”, formato, come i libri moderni, da tanti fogli legati da una sola parte.

Il materiale scrittorio, già perfezionato nel sec. II a. C. fu la “pergamena” (da Pergamo, città dell’Asia Minore), cioè la pelle di animali ridotta a fogli sottili e solidissimi.

I codici più antichi a noi arrivati contengono tutta la Bibbia in greco, e sono: il “Codice Vaticano” (IV sec. d. C.); il “Codice Sinaitico” (IV sec. d. C.); il “Codice Alessandrino” (V sec. d. C.).

 ATTENDIBILITA’ DEL TESTO BIBLICO

Chi prende in mano oggi il testo dell’Antico Testamento ha il diritto di chiedersi: su quali fonti si basa questo testo?  Sono ancora disponibili i manoscritti originali degli autori: di Mosè, di Davide, di Isaia?

In realtà di nessun libro, sia dell’Antico che del Nuovo Testamento, possediamo il manoscritto originale.

Questo fatto a prima vista indurrebbe a dubitare della credibilità del testo biblico: esso però si chiarisce ricordando che quel valore particolare che noi oggi, per considerazione di carattere di antiquariato, attribuiamo al manoscritto originale, non gli era attribuito dalla mentalità degli antichi: quando, ormai consumato dall’uso, esso non era più utilizzabile per la lettura liturgica, veniva sostituito da una copia accuratamente eseguita e più volte controllata col testo precedente; l’originale, ormai inutile, veniva bruciato o murato.

Di secolo in secolo si eseguirono perciò sempre nuove copie, ma esse venivano preparate con la precisione, addirittura proverbiale, del popolo ebraico, una precisione che scaturiva non da esigenze di scrupolosità scientifica, ma dalla venerazione per la Parola di Dio.

Una così meticolosa accuratezza è per noi un’ottima garanzia che il testo originale non è stato alterato.

Il confronto critico fra tutti i manoscritti biblici ci offre la certezza che la Bibbia che abbiamo oggi corrisponde a quella originale.

 

                                                 IL CANONE BIBLICO

 

Il termine “Canone” (dal greco: “canòn” = “insieme”) è l’elenco completo di tutti i testi che compongono la Bibbia.

Un libro è “canonico” se viene riconosciuto come ispirato da Dio. E’ Dio stesso che indica se uno scritto è veramente ispirato , attraverso la Tradizione divino-apostolica ,

cioè attraverso il Magistero della Chiesa, che è assistita dallo Spirito Santo. Sono invece esclusi dal “canone”, fissato nel Concilio di trento nel 1546 i cosiddetti “apocrifi”     (dal greco “apòcriphos” = “nascosto” nel senso di “non presentato al pubblico”.

L’elenco dei Libri Canonici è stato definitivamente ratificato dal concilio di Trento nel 1546.

Si è soliti distinguere, all’interno del Canone, i Libri “protocanonici” e i Libri “deuterocanonici”.

I Libri “Protocanonici” sono i libri che sempre e presso ogni comunità cristiana furono ritenuti ispirati.

I Libri “Deuterocanonici” sono gli scritti biblici che in alcuni tempi e in alcune comunità non sono stati ritenuti ispirati.

I Libri “Deuterocanonici” sono Sette dell’Antico Testamento e Sette del Nuovo Testamento. Nell’A.T. sono: Tobia, Giuditta, I e II Maccabei, Baruc, Siracide, Sapienza; alcune parti dei Libri di Ester e Daniele.

Gli Ebrei e i Protestanti non ammettono l’ispirazione dei Libri “deuterocanonici” dell’Antico Testamento e li chiamano “apocrifi”.

I Libri “deuterocanonici” del N.T. sono: Lettera agli Ebrei, Lettera di Giacomo, II Lettera di Pietro,  II e III Lettera di S. Giovanni, Lettera di Giuda, Apocalisse.                       

 IL PENTATEUCO

Dal greco “cinque rotoli” o “libri”, è il nome dato fin dai primi secoli dell’era cristiana ai primi cinque libri dell’Antico Testamento; GENESI, ESODO, LEVITICO, NUMERI, DEUTERONOMIO.

Gli Ebrei lo indicavano con il nome di  “ TORA’ ”  o  “ LEGGE ”, vocabolo citato nel Nuovo Testamento.

Questi primi cinque Libri contengono tutta la legislazione d’Israele, ecco perché vengono considerati una unità.

La parte più estesa del Pentateuco è composta di Leggi (di qui l’appellativo ebraico: “Torà” o “Legge”), che sono state concepite come la parte saliente della Rivelazione divina fatta a Mosè e, di conseguenza, inserita nel racconto.

La teologia della Legge per Israele fu determinata dalla sua teologia della Storia. Le leggi furono sempre concepite e presentate come parte della storia del popolo Ebraico.

Gli obblighi legali che lo vincolavano rappresentavano la sua risposta all’intervento storico di Dio in suo favore.

Come Prologo all’intera opera, è presentata per prima la storia dell’umanità: dalla creazione al dramma introduttivo della storia della salvezza (Genesi 1-11).

La preparazione divina per la scelta di un Popolo è evidente nella Storia dei singoli Patriarchi: Abramo, Isacco, Giacobbe.

L’iniziativa divina di liberare gli Ebrei oppressi dall’Egitto raggiunge il suo apice nella solenne proclamazione dell’Alleanza sul Sinai, con gli obblighi che ne derivavano per il nuovo Popolo di Dio.

 LA COMPOSIZIONE DEL PENTATEUCO.

Il Pentateuco era attribuito dalla tradizione ebraica a Mosè; questa è stata l’opinione prevalente fino al secolo scorso; ma grazie a studi biblici assai più accurati si è avanzata un’altra spiegazione che risulta più attinente al testo biblico.

L’esegesi moderna ha messo in risalto alcune contraddizioni, presenti nel Pentateuco, che ne rendevano impossibile  l’attribuzione a un solo autore.

Queste contraddizioni si possono così riassumere:

-         doppioni (due racconti della Creazione: Gen. 1, 1-2,4a e Gen. 2,4b-24);

due racconti della vocazione di Mosè (Esodo 3, 1-4,17 e Esodo 6, 2-7,7);

due testi del Decalogo (Es. 20, 1-17 e Deut. 5, 6-21),

quattro calendari liturgici (Es. 23, 14-19;  Es. 34, 18-23; Lev. 23; Deut. 16, 1-16).

-         forme parallele nei brani legali e narrativi;

-         criteri di stile; vocabolario; pensiero teologico.    

Tutto ciò fa concludere che nella formazione del Pentateuco ci sono stare varie Tradizione distinte (gli esegeti parlano di quattro tradizioni)che si svilupparono all’interno di Israele; esse sono così denominate: JAHWISTA, ELOISTADEUTERONOMISTA, SACERDOTALE, (quest’ultima è indicata con la lettera P, dal tedesco “Priester” = “Sacerdote”).

Queste Tradizioni sono racconti indipendenti (Gen. 26, 6-11); narrazioni cultuali (Gen. 28, 10-22); canti primitivi (Gen. 4, 23-24); oracoli (Numeri 23-24); spiegazioni etimologiche (Gen: 25, 22-26); leggende  (Gen. 6, 1-4).

Tutto questo materiale storico,  forse in forma poetica, venne trasmesso oralmente fin dall’epoca dei Giudici (tra il 1225 e il 1040 circa a.C. questi giudici non amministrano soltanto la giustizia, ma esercitano anche un potere di governo, seppure temporaneo, il Libro dei Giudici descrive il difficile periodo che segue all’insediamento nella terra di Canaan del Popolo ebraico, dalla morte di Giosuè all’instaurazione della monarchia), e ricevette una forma definitiva in vari periodi dal X al VI sec. a.C.

 LE QUATTRO TRADIZIONI

1)       LA TRADIZIONE JAHWISTA.  (X sec. a.C.); così chiamata perché utilizza il nome divino Jahwè = Dio, viene comunemente datata attorno al X sec. a.C. ed elaborata durante il periodo di Davide e Salomone (1040- 930 a.C.), essa rivela un ottimismo che malgrado la continua prevalenza del peccato, è capace di prevedere la vittoria nel momento della caduta (Gen. 3,15; 4,7).

Questa Tradizione fa un uso audace di antropomorfismi (Dio che passeggia nel giardino, che interroga Caino, ecc...).

 

2)              TRADIZIONE ELOISTA.  (VII sec. a.C.). Ha per caratteristica l’uso del nome comune Eloìm = Dio. Si distingue dalla tradizione Jahwista, per la preoccupazione di rispettare le distanze che separano l’uomo da Dio, cioè recuperare la sua trascendenza. Dio parla all’uomo generalmente nei sogni o dalle nubi o in mezzo al fuoco o per mezzo di angeli.

 

3)              TRADIZIONE DEUTERONOMISTA. (VI sec. a.C.). Forma la parte centrale del Libro del Deuteronomio, da cui prende il nome: contiene prescrizioni, leggi, feste. Lo stile decisamente parenetico, cioè esortativo (dal greco. “paraìnesis”, eos = esortazione), indica per la sua composizione un periodo di crisi religiosa. La salvezza sarebbe stata possibile, secondo la tradizioneDeuteronomista, solamente mediante una leale corrispondenza alle leggi dell’Alleanza. Il Libro fu probabilmente steso,  nella forma definitiva, nella prima metà del VII sec. a.C.

 

4)       TRADIZIONE SACERDOTALE. (VI sec. a. C.). Ha il suo interesse per la liturgia, le genealogie, le descrizioni degli elementi rituali. La maggior parte della seconda metà dell’Esodo, l’intero Levitico e la maggior parte dei Numeri, appartengono alla tradizione Sacerdotale. La fede d’Israele era sotto prova durante l’esilio (a opera delle truppe babilonesi di Nabucodonosor II nel 586 a.C. che violarono il Tempio di Gerusalemme e deportarono gli Ebrei a Babilonia). La crisi fornì lo sfondo per la storia di questa Tradizione.

Come Jahwè è Santo,  così Israele deve mantenersi Santo, cioè incontaminato da qualunque morale o culto di origine umana. Questa concezione spiega la sollecitudine per le molte prescrizioni di purità rituali e legali.

La tradizione Sacerdotale, è così chiamata dagli studiosi, perché si riteneva che fosse legata ai Sacerdoti ebrei esuli nel VI sec. a. C. da Babilonia, in seguito alla già citata deportazione del 586 a.C. Si ritiene, pertanto, che questa tradizione, sia una rielaborazione e un ripensamento delle tradizioni d’Israele ad opera di questi Sacerdoti durante l’esilio Babilonese (VI sec. a.C.). E il contributo finale alla formazione del Pentateuco fu proprio di questa Tradizione.

CONCLUSIONE

L’analisi letteraria delle quattro Tradizioni, ci consente di penetrare profondamente nel graduale sviluppo della Rivelazione. A causa della sua intima connessione con la storia,  la teologia di Israele  rimase costantemente viva ed adattabile alle nuove situazioni che segnavano la continua guida, da parte di Dio, del suo Popolo, verso il traguardo escatologico.

Le teologie delle quattro Tradizioni, alle quali contribuì una lunga serie di autori sacri d’Israele, testimoniano questo dialogo vivo tra Dio e l’uomo nell’Antico Testamento.

Malgrado le diverse teologie del Pentateuco, ciascuna, con la sua accentuazione caratteristica, dà al Testo un’evidente unità d’insieme, attorno ai quattro pilastri della fede d’Israele:  promessa –elezione – alleanza – legge.  Ciò è sufficiente per ritenere il Pentateuco, materiale ispirato.

Le quattro Tradizioni,  ricevettero forma definitiva, in vari periodi: dal X al VI sec. a.C., contrariamente a quello che si pensava prima, e che cioè,  Mosè fosse l’autore del Pentateuco.