Alimenti della salute di Santa Ildegarda
Ildegrada: il Cosmo, l’Uomo e la forza vitale “verdeggiante”
L’uomo e l’universo, secondo il pensiero di Ildegarda, sono così indissolubilmente legati che lo stato di salute o di malattia dell’uno si ripercuote sull’altro. L’interdipendenza, infatti, rende il cosmo un’unità e per questa ragione la causa dei disagi dell’uomo è dovuta alla perdita di questa connessione con l’ambiente che lo circonda.
“Il corpo, in verità, è il vestito dell’anima, che ha una viva voce e perciò è giusto che il corpo, attraverso la voce, canti con l’anima lodi a Dio” Hildegard von Bingen
Filmati : Ildegarda La medicina naturale
Ildegarda Scienziata Hildegard_Canticles Of Ecstasy
Con questo stesso spirito Ildegarda si dedica alle ricerche in campo medico e terapeutico, convinta che le malattie, fisiche o psichiche, da cui l’umanità spesso è afflitta, siano la conseguenza visibile di una rottura di quel legame meraviglioso, che trasmette la sua carica vitale e tiene unite insieme tutte le cose esistenti.
Infatti, ogni oggetto del creato per lei è connesso da un unico filo, che ne tesse la trama straordinaria; tutto è messo in moto da un’energia suprema, che Ildegarda esprime attraverso il termine, quasi intraducibile, di viriditas (l’energia verdeggiante). Il Neuro-Micrometro di oggi misura questa energia.
Questa forza, riconoscibile a tutti i livelli, sia fisico che spirituale del cosmo, si palesa in modo evidente e immediatamente percepibile nelle cose naturali, come principio che conferisce il potere terapeutico alle sostanze naturali; mentre nell’uomo è l’anima o principio di vita e movimento.
Inoltre secondo la sua visione, la salute dell’essere umano si regge sul benessere non solo corporeo ma anche mentale, anticipando così la medicina olistica moderna, perché anche preoccupazioni e cattivi pensieri possono condurre alla malattia.
Nella prospettiva olistica il corpo è un tutt'uno e gli organi non sono parti isolate ma sistemi che, oltre a essere in simultanea relazione, sono anche correlati alla dimensione sociale, psichica, emotiva e spirituale della persona. L'obiettivo primo e il fine ultimo della medicina olistica è il mantenimento di quest'unità onnicomprensiva
Ildegarda e la sua medicina mistica
Rifacendosi alla medicina umorale. elaborata da Ippocrate e Galeno, Ildegarda attribuisce agli elementi (aria, acqua terra e fuoco) quattro qualità: il caldo, il freddo, il secco e l’umido che ne caratterizzano l’azione e l’effetto sugli esseri viventi. Ma a questa teoria unisce il suo concetto di veriditas, che come abbiamo visto costituisce la potenza vivificante responsabile dell’equilibrio e del benessere psicofisico dell’uomo e della natura.
Nell’opera “Physica” sono trattate le scienze naturali e vengono descritte le proprietà curative di erbe, alimenti e pietre. Per ottenere ciò che serve per vivere sani, bisogna perciò attingere alla Natura in modo da ristabilire l’equilibrio fra l’Uomo, il Cosmo e le Forze che regolano questa relazione.
Tuttavia Ildegarda di Bingen divenne famosa nel Medioevo e ancora oggi viene ricordata per una particolarità: le visioni che gli derivavano da Dio le indicavano anche come strutturare il suo sistema di cura.
La medicina di Ildegarda, infatti, ha due anime: una scientifica, come dimostra il fatto che alcune sue preparazioni sono ancora attuali, e una mistica, perché crede che il suo sapere abbia origine divina.
I rimedi terapeutici di Ildegarda: piante cristalli e alimenti
In “Herbora sempliciorum”, Ildegarda di Bingen elenca e illustra le erbe coltivate nei monasteri e da cui vengono tratti i rimedi. Studia le proprietà puramente materiali delle piante o delle pietre, ma non si ferma all’esame esteriore: le interessa piuttosto scoprire i poteri terapeutici nascosti in esse; virtù che ritrova anche nella musica e nel potere intrinseco alla parola.
Come abbiamo visto attribuiva anche alle pietre un effetto curativo, proprio perché anch’esse possiedono l’energia verdeggiante diffusa in tutto il creato, anticipando quella che oggi è chiamata la cristalloterapia. In generale, Ildegarda suggeriva di usare i cristalli indossandoli oppure preparandoli in modi diversi a seconda dei casi.
Nel suo “Causa e curae” spiega come si generano le malattie e cosa fare per riacquistare la salute. La badessa utilizza un metodo completamente innovativo per l’epoca: non descrive solo la forma delle piante e le caratteristiche del rimedio, come si usava nei trattati di erboristeria del Medioevo, ma illustra anche l’effetto che la sostanza produce quando entra in relazione con l’uomo, distinguendo l’efficacia del rimedio in base al sesso, alla costituzione, e allo stato di salute o di malattia di chi lo riceve. Ecco alcuni rimedi : per i reni assenzio, per i polmoni e dermatite elisir di viola, per l'ernia iatale assenzio e galanga, sivesan per digestione, finocchio per il buonumore, e tanti altri.
Alcuni alimenti portano gioia e altri tristezza.
Ecco i quattro alimenti che non potranno che farvi del bene.
(da Aleteia)
Visionaria fin dalla più tenera età, sant’Ildegarda ha obbedito a una voce venuta dal cielo che le diceva: «Scrivi ciò che vedi e che senti». Divenne così l’autrice di opere celebri direttamente ispirate dalle sue visioni a proposito di piante medicinali e della natura. Dimenticata per secoli, la scienza di Ildegarda, prossima alla medicina cinese, è stata nuovamente studiata e si riconosce oggi il suo aspetto visionario. Secondo lei il corpo, lo spirito, l’anima e l’ambiente sono i quattro pilastri della salute e sono intimamente legati l’uno all’altro. Così, la nostra alimentazione ha delle conseguenze dirette sulle nostre emozioni.
Secondo la teoria dei quattro umori, diffusa a quell’epoca, la tristezza e la collera sono cause di numerose malattie.
Quando l’anima dell’uomo ha sentito qualcosa di nocivo per sé o per il suo corpo, il cuore, il fegato e i vasi sanguigni si contraggono. S’alza allora come una nuvola che adombra il cuore, di modo che l’uomo diventa triste.
Così si legge nella sua opera Le cause e i rimedi. Per rimediare a questo, la badessa ci invita a consumare alcuni alimenti fonte di gioia. Ella precisa che per “fonte di gioia” s’intende che rivitalizzano e aiutano a conservare una buona salute tanto sul piano fisico quanto su quello psichico e spirituale. E questi alimenti di cui parla sono quelli che la naturopatia attuale raccomanda essa pure, perché riequilibrano il nostro organismo acidificato dall’alimentazione industriale, dall’inquinamento e dallo stress. Ma quali sono questi alimenti e che cosa ci danno, più precisamente?
Il finocchio: un buon rimedio per tutto!
Dall’antichità, il finocchio è coltivato nel bacino mediterraneo come un aroma. Nel medioevo gli italiani svilupparono la varietà dal grosso bulbo nota come “a mela”. Da allora, non si è cessato di produrlo e di consumarne. Da lì arrivò in seguito nei giardini reali francesi, grazie a Claude Mollet, giardiniere al servizio di Enrico IV. Da non confondere con l’aneto o con l’anice, perché se il finocchio appartiene alla medesima famiglia, è tuttavia il solo dei tre a essere impiegato come un legume.
Esso permette di liberare l’acidità del corpo e di sciogliere tutti i dolori articolari e le malattie come l’artrite, la tendinite, le coliti… Il finocchio dà pure un buon odore al corpo e facilita la digestione. Ricco di vitamine A, B, C, E e di fibre, è l’ideale per mantenere la linea e agisce contro i gonfiori e i dolori di stomaco. Il finocchio stimola pure la produzione di latte materno.
Crudo, cotto o fatto in tisana, il finocchio è apprezzabile ed efficace in ogni forma. Croccante o morbido a seconda della cottura, accompagna perfettamente la carne, il pesce e il formaggio.
La castagna: l’alleata degli sportivi
Che lo si chiami marrone o castagna, in entrambi i casi si tratta del frutto del castagno. La sola differenza sta nell’involucro: se il frutto è sigillato in compartimenti, è una castagna. Sennò è un marrone.
Nelle campagne, la castagna rimpiazzava sovente i cereali: del resto si chiamava il castagno “l’albero del pane”. Oggi il consumo di castagne dipende piuttosto dalla stagione.
Sapevate che non c’è niente di meglio delle castagne, dopo uno sforzo? In effetti, la sua ricchezza minerale risulta interessante per gli sportivi: vi si trovano elevati quantitativi di potassio, ferro e magnesio. La castagna è pure fonte energetica perché è ricca di vitamine e di olino-elementi. Permette di evitare picchi glicemici, cioè l’innalzamento brutale del tasso di zucchero nel sangue e contiene un forte tenore di amido, che si digerisce molto lentamente.
È preferibile mangiare la castagna semplicemente arrostita, bollita o cotta a vapore, per godere di tutti i suoi vantaggi.
Il farro: re dei cereali
Consumato in abbondanza fino all’epoca romana, poi abbandonato a vantaggio del grano per ragioni di resa, il farro è stato riscoperto soltanto una trentina d’anni fa. Bisogna sapere che il farro contiene 12 volte il quantitativo di magnesio del grano e 5 volte il fosforo della soia! Possiede pure una quantità importante di triptofani, acidi amidati precursori della serotonina, l’“ormone della felicità”.
Il farro contiene pure una parte importante dei tiocianati che si trovano anche nel latte materno. Permettono di stimolare le difese immunitarie, la formazione dei globuli rossi e bianchi, la crescita cellulare e la formazione delle cellule staminali. Grazie ai tiocianatii, le membrane vengono rinforzate, e questo impedisce alle sostanze cancerogene di penetrare nel nostro corpo e quindi agiscono come una guarnizione dal cancro.
Il farro è molto ricco in proteine e glucidi, quindi è anch’esso un eccellente alimento in vista di sforzi. Il suo forte tasso di magnesio ne fa un alimento anti-stress.
Il farro può consumarsi in diverse forme: zuppa, pane, riso, pasta, biscotti… Potete sostituire il grano col farro, nella vostra cucina. Tuttavia, per beneficiare di tutte le sue qualità è importante consumare chicchi di farro non mescolati.
Il chiodo di garofano: un anti-infiammatorio naturale
Il chiodo di garofano viene dalla pianta di garofano: albero originario dell’arcipelago indonesiano. Era prezioso e pagato a peso d’oro durante il medioevo. Anche oggi del resto è prezioso.
Lo si può utilizzare come un anti-infiammatorio, poiché cura i dolori reumatici e il mal di denti grazie alle sue proprietà antisettiche, anestetiche e anti-infiammatorie. Il chiodo di garofano è tra tutte le spezie e le erbe quello che ha il più alto livello di antiossidanti.
Ecco che cosa ne scrive Ildegarda di Bingen:
Chi ha mal di testa al punto da sentirsi il capo pesante, come se fosse diventato sordo, mangi spesso dei chiodi di garofano e l’oppressione cerebrale diminuirà… Le viscere inferiori [l’intestino N.d.R.], in un malato, prendono talvolta a gonfiarsi, quando si soffre di infiammazioni gastrointestinali, e può accadere che questo gonfiore degeneri in idropisia. Quando l’idropisia comincia ad avanzare in un uomo e ci se ne avvede, che il malato mangi spesso chiodi di garofano e questi faranno scomparire la causa della malattia; perché le forze curative del garofano passano nell’intestino, fanno diminuire il gonfiore e fanno così sparire l’idropisia.
Il chiodo di garofano può essere utilizzato intero o ridotto in polvere, e lo si apprezza nel pane, nei dolci, nelle marmellate o per profumare un vin brülé. In caso di mal di denti, è possibile applicarne direttamente sul dente e questo calmerà istantaneamente il dolore.
Ricetta dei “biscotti della gioia”
Ingredienti per una trentina di biscotti:
- 90 grammi di burro
- 70 grammi di zucchero di canna
- 35 grammi di miele
- 2 tuorli d’uovo
- 250 grammi di farina di farro bio
- 6 grammi di noce moscata
- 6 grammi di cannella
- 24 chiodi di garofano
- In una terrina, mescolare spezie e farina.
- Far fondere il burro, poi aggiungere lo zucchero, il miele e i tuorli d’uovo. Mescolare fino a quando si ottiene un impasto omogeneo.
- Versare l’impasto nella terrina con la farina spezzata, poi mescolare il tutto fino a che si ottiene un amalgama che si stacchi dal bordo della terrina. Se l’impasto si attacca, aggiungere farina quanto basta.
- Stendere l’impasto, poi tagliarlo in forme a piacere, anche con formine.
- Far cuocere per 10-15 minuti a 180°.
Ildegarda di Bingen ci dice, riguardo a questi biscotti:
Dissolvono l’amarezza del cuore, lo calmano e lo dischiudono. Ma spalancano pure i cinque sensi, ti rendono gioioso, purificano i tuoi organi sensoriali, riducono gli umori nocivi e danno al tuo sangue una buona composizione. Ti rendono robusto, gioioso ed efficace nel tuo lavoro.
E allora non esitate ad adottare un’alimentazione sana servendovi di quanto sta nella creazione, per curare e prevenire i mali del nostro corpo. Ce ne verrà una felicità smisurata.
La vita di Santa Ildegarda
Santa Ildegarda di Bingen, proclamata da Benedetto XVI Dottore della Chiesa il 7 ottobre 2012 e che la liturgia ricorda sul calendario dei santi il 17 settembre, nasce a Bermerscheim, non lontano da Magonza, nel 1098, da genitori nobili che la avviano alla vita religiosa, scegliendo per lei la reclusione fin da bambina nella cella di Jutta di Spanheim, monaca eremita da cui fui educata alla vita religiosa; tale luogo, dipendente dal monastero benedettino di Disbodenberg, suscitò interesse e la popolazione di monache crebbe al punto che quando Idelgarda prese i voti, nel 1113 circa, la cella si era ormai trasformata in una piccola comunità, quasi un secondo monastero annesso al primo, di cui ella prese la guida nel 1136.
Caratteristica singolare della vita della religiosa fu soprattutto la sua capacità di ricevere visioni divine; si tramanda che la prima visione sia avvenuta a 5 anni, ma la vera svolta fu ben più tardi, a 42 anni, come lei stessa ricorda nella sua prima opera profetica, Scivias (acronimo di Scivo vias Domini): “Si manifestò una luce ignea abbagliante, che venendo dal cielo che si era aperto, infiammò completamente il mio cervello e come una fiamma che non brucia ma riscalda, detto fuoco completamente al mio cuore e al mio petto (…). E immediatamente diventai sapiente nell’interpretazione dei libri sacri”. La monaca indulgerà, riluttante a narrare le sue visioni “non per ostinazione ma per umiltà”, e così le capiterà di cadere malata e si sentirsi punita da Dio finché la voce tornerà a ripeterle: “Tu devi dire e scrivere ciò che vedi e odi”. Infine, ottenuto il permesso dell’abate, comincerà a scrivere il contenuto delle visioni con l’aiuto del più abile scrivano del monastero, il monaco Vomar, che diverrà punto di riferimento e amico. Consapevole del sospetto che tali esperienze avrebbero suscitato, Ildegarda ribadisce a più riprese che le visioni non sono né sue immaginazioni né sogni notturni. Nei tre testi profetici – Scivias, Liber vitae meritorum e Liber divinorum operum – la donna detta le sue visioni, le analizza nella modalità in cui si manifestano, per interpretarne poi i significati: la terza e più ambiziosa (1163) presenta una sintesi del suo pensiero teologico del sapere fisiologico e delle speculazioni sul funzionamento del cervello e dell’universo, in cui il rapporto tra l’uomo e l’universo è letto come quello tra microcosmo e macrocosmo. L’uomo, dunque, al centro della creazione armonizza la propria volontà con quella di Dio, impressa nel suo cuore e tramandata dalle Scritture.
Qui ella non esita a misurarsi con Agostino e Giovanni Scoto nel commentare i fondamenti della Rivelazione, il Prologo del Vangelo di Giovanni e il racconto di Genesi. La pluralità delle sue doti è tale da spingerla in molte direzioni: compone liriche religiose, raccolte nel Symphonia harmoniae caelestium revelatiunum, visita e cura gli ammalati, tanto che la sua bravura le procurò rapidamente la fama di guaritrice. La sua abilità medica appare evidente nel suo Causae et curae, che offre un’interessante trattazione di anatomia, fisiologia, patologia e mostra il superamento della tradizione dicotomia tra anima e corpo. Il suo carisma sollecitò indagini che arrivarono fino al papa Eugenio III (1145 – 53): la commissione di controllo da lui inviata riferì della sua convinzione in merito all’autenticità delle visioni e condusse in lettura al Papa, impegnato nel Sinodo di Treviri, parte dello Scivias, ricevendone in cambio l’esortazione a riportare con completezza le visioni che ella riceveva di volta in volta. Ciò nonostante, i rapporti di Ildegarda con le autorità maschili del monastero, come quelle clericali con cui entrerà in contatto diretto, saranno spesso conflittuali, come nel caso della sua fondazione, dietro il monito della “Vera Voce”, di un nuovo monastero a Rupertsberg, nel 1151, e poi ad Eibingen, che conquistò l’indipendenza per la comunità delle monache , atto poco gradito a chi avrebbe voluto conservare il privilegio di ospitare le monache e le loro ricche doti di figlie di famiglie nobili locali.
L’intervento riformista della donna nella Chiesa del tempo risulta forte e tenace: ella propone un nuovo ideale di vita monastico, non più rigorosamente claustrale, nel tentativo di risvegliare le coscienze di un’epoca di profonde innovazioni. La condizione di Ildegarda era assai singolare per i tempi, anche a prescindere dalle visioni; tra il 1158 e il 1163 viaggia per monasteri, tenendo discorsi nelle riunioni di Capitolo e addirittura prediche e conferenze pubbliche in cattedrali prestigiose, quali quelle di Colonia e Treviri, evento assai raro per una donna all’epoca; inoltre compie esorcismi, e, infine, intrattiene relazioni e corrispondenza con personaggi importanti, anche lontani dal mondo della Chiesa, come, per esempio, Federico Barbarossa. Muore nel 1179 alla bella età per l’epoca di 81 anni.
Anche se non importanti in modo assoluto per la comprensione della “medicina”, sono tuttavia quanto mai interessanti per la valutazione della personalità d’Ildegarda le sue argomentazioni sulla sodomia. Non solo per il fatto che la badessa, immune da ogni schifiltosità, chiama chiaramente per nome le deviazioni sessuali, ma anche perché permette di chiarire le conoscenze, che al suo tempo non erano assolutamente poche, e certamente non solo teoriche, sulle più varie perversioni, come quando scrive sulla situazione prima del diluvio universale: “Ma dopo che gli uomini ebbero dimenticato il loro Dio, si comportarono più alla maniera degli animali che secondo l’ordinamento divino. Accadde così che molti amavano più gli animali che i loro simili, tanto che maschi e femmine si mescolavano ed avevano rapporti con animali in modo tale che l’immagine di Dio era da loro già quasi completamente deformata. L’intera specie umana si trasformò in esseri mostruosi; parecchi si conformarono al modo di vivere di animali selvaggi e ne imitarono anche le voci; e così furono visti correre qua e là, emettere urla e vivere vegetando. Prima del diluvio universale, infatti, gli animali selvaggi ed anche gli altri animali domestici non avevano ancora la selvatichezza che avrebbero avuto in seguito. Non avevano paura dell’uomo, così come l’uomo non aveva paura di loro; e neppure si spaventavano reciprocamente. Ed anzi gli animali, selvaggi e domestici, si intrattenevano volentieri con l’uomo e l’uomo con essi: nella loro condizione primitiva, infatti, avevano avuto la loro origine quasi nello stesso tempo. Sia gli animali selvaggi che quelli domestici leccavano carezzevolmente gli uomini, come anche l’uomo accarezzava gli animali. Ma per questo accadde poi che essi si amassero reciprocamente e fossero attaccati gli uni agli altri sempre di più in modo innaturale”.
La monaca è estremamente dura riguardo il peccato di sodomia e nel “libro dei meriti di vita” scrive: “Questo peccato è una turpe perversione: per arte diabolica si è insinuato nell’uomo, esattamente come la morte entrò nell’uomo con la caduta di Adamo quando questi si allontanò da Dio. Dio infatti creò l’uomo destinandolo a un grande onore e a un nome glorioso, ma il serpente lo ingannò, l’uomo accettò il suo suggerimento e così perse la facoltà di comprendere il significato del verso di ogni animale. Questo peccato è la forza del cuore del demonio; per cui persuade gli uomini a mutare una pratica naturale in un atto da bestie, e a operare sulle loro persone delle oscenità, poiché il demonio, a causa dell’odio originario che ebbe nei confronti della fecondità della donna, ancora la perseguita affinché non porti frutto, mentre preferisce che gli uomini si contaminino con pratiche contro natura. E poiché Dio volle che il genere umano fosse procreato dalla donna, è un grave delitto che l’uomo disperda il proprio seme quando si macchia di questo peccato”. (di Don Marcello Stanzione)