Addio Mossul
09.08.2014 17:30
Addio ai nostri parenti seppelliti a Mossul. Li lasciamo, cacciati dalla nostra città. Ci perdonino se non possiamo andare sulle loro tombe in occasione delle feste religiose. Addio ai resti mortali di mio nonno Elias, del mio zio paterno – padre Mikhail –, ai miei zii materni Ibrahim et Mikhail Haddad che mi hanno trasmesso la passione del giornalismo, addio al mio zio paterno Estefan Aziza, il primo martire della famiglia, addio al convento di San Giorgio, addio ai ponti della mia città, alle sue mura e ai suoi terreni di gioco, alla sua università e al suo centro culturale.
Perdonateci, vecchi amici, fratelli e nobili figli della nostra città. Perdonate le nostre mancanze. Se possiamo aver mancato ai nostri doveri nei vostri confronti ciò non toglie che abbiamo vissuto insieme centinaia, anzi migliaia di anni, costruendo Mossul con il sudore della nostra fronte.
E oggi, ci guardate da lontano, mentre siamo scacciati, umiliati agli occhi di tutti. Gli assassini del Daech (acronimo arabo di ISIS) ci hanno cacciato dalle nostre case e dalle nostre città. Addio a tutti voi. E grazie. Lasciamo, sotto costrizione, una terra che abbiamo nutrito con il nostro sangue.
traduzione di Don Pierre Laurent Cabantous
Lettera d’addio dello scrittore iracheno cristiano Majed Aziza alla sua città, Mossul, dopo la decisione degli islamisti dell’ISIS di espellere tutti i cristiani. Da Aleteia
Espulsi lasciamo la nostra città Mossul, umiliati dai detentori del nuovo islam. La lasciamo per la prima volta nella storia. E, partendo, ringraziamo i nostri vicini, vicini che pensavamo ci avrebbero protetto come lo facevano un tempo e che si sarebbero ribellati contro la furia di questi criminali del XXI° secolo dicendo loro che noi siamo gli autentici figli di questa città e che ne siamo i fondatori.
Ci facciamo coraggio dicendoci che possiamo contare su di loro, fratelli valorosi che mostreranno di che pasta sono fatti (lett. “di che legno si scaldano”).
Ci facciamo coraggio dicendoci che possiamo contare su di loro, fratelli valorosi che mostreranno di che pasta sono fatti (lett. “di che legno si scaldano”).
Ma ci hanno abbandonato, lasciandoci trascinare fuori dalla città, verso l’ignoto. Hanno chiuso gli occhi, mentre lasciavamo dietro di noi la nostra storia, le tombe dei nostri antenati, le nostre case, il nostro patrimonio e tutto ciò che è caro al nostro cuore. Ci hanno abbandonato, mentre dicevamo addio ai nostri quartieri, alla moschea di Giona (che conteneva anche la tomba di questo profeta e che, per questo motivo, è stata distrutta dagli jihadisti dello stato islamico in Iraq e nel Levante (ISIS). Addio anche all’arcivescovado, alla chiesa di Maskinta e a quella d’Ain Kibrit… Addio a tutti voi! Non ci saremo più per le vostre feste e cerimonie, matrimoni e funerali. La fine dei millenni passati insieme.
Addio ai nostri parenti seppelliti a Mossul. Li lasciamo, cacciati dalla nostra città. Ci perdonino se non possiamo andare sulle loro tombe in occasione delle feste religiose. Addio ai resti mortali di mio nonno Elias, del mio zio paterno – padre Mikhail –, ai miei zii materni Ibrahim et Mikhail Haddad che mi hanno trasmesso la passione del giornalismo, addio al mio zio paterno Estefan Aziza, il primo martire della famiglia, addio al convento di San Giorgio, addio ai ponti della mia città, alle sue mura e ai suoi terreni di gioco, alla sua università e al suo centro culturale.
Perdonateci, vecchi amici, fratelli e nobili figli della nostra città. Perdonate le nostre mancanze. Se possiamo aver mancato ai nostri doveri nei vostri confronti ciò non toglie che abbiamo vissuto insieme centinaia, anzi migliaia di anni, costruendo Mossul con il sudore della nostra fronte.
E oggi, ci guardate da lontano, mentre siamo scacciati, umiliati agli occhi di tutti. Gli assassini del Daech (acronimo arabo di ISIS) ci hanno cacciato dalle nostre case e dalle nostre città. Addio a tutti voi. E grazie. Lasciamo, sotto costrizione, una terra che abbiamo nutrito con il nostro sangue.